lunedì 18 aprile 2016

Le ragioni della memoria.

Il caso ultimo della vita politica e sociale d'Italia, appena concluso, è il referendum sulle trivellazioni in mare. Il referendum non ha avuto esito positivo perché non si è raggiunto il quorum innanzitutto. I fatti parlano chiaro, tutto è accecante come la luce che si sprigiona, guarda un po', dal nostro sole in estate, arroventando le nostre spiagge più meridionali: gli italiani hanno disertato l'urna. I perché possono essere molteplici e tutti plausibili, disinformazione, disinteresse per il tema specifico, appartenenza politica, semplice e pura ignavia. Ragioni tutte ragionevolmente contestabili o no, a seconda dei presupposti.
Per me, che ho votato un sì convinto, il presupposto era il mare. E, pur avendo preso nella dovuta considerazione gli appelli di Greenpeace e delle altre associazioni ambientaliste, mi sono basata sulla mia esperienza sensoriale di tenti e tanti anni di frequentazione e di contatto con questa immensa massa che abbraccia la mia isola e gran parte della penisola. Il mio rapporto con il mare è stato, negli ultimi vent'anni, frustrante, ambivalente: da una parte il bisogno viscerale del ritorno al grembo generoso e materno che, nelle torride estati, mi accoglieva restituendomi il respiro, il respiro lento e profondo, capace di lenire gli affanni oltre che il bruciore della pelle; dall'altra, la conferma, ogni stagione più triste, che il mare cambiava. Cambiava colore, cambiava odore. Mutavano i fondali a occhio nudo, sparivano le telline, piccoli molluschi gustosi, dai litorali sabbiosi, sparivano le "patelle" altri molluschi attaccati agli scogli neri affioranti. Ogni estate, in questi ultimi venti anni, è stata segnata da una nuova mancanza, dalla scoperta infelice che anche gli angoli più nascosti venivano depredati.
Ha ragione anche il premier, certo, il mare è stato devastato dall'incuria selvaggia, dal disprezzo crudele di chi ha permesso che vi si costruisse a ridosso, di chi non ha provveduto a mantenerlo pulito con depuratori e collettori per le acque nere. Verissimo. E la colpa è di tutti, verissimo. Ma ieri avremmo voluto e potuto fare un primo passo, un piccolo passo e invertire la marcia, ieri avremmo avuto la possibilità di occuparci anche noi del nostro mare, trascurato, offeso, svilito. Non è andata così, hanno prevalso altre ragioni. Ragioni economiche, ragioni di opportunismo politico. Ecco, per me questo è stato l'errore più marchiano e stupido che si è fatto. Come tutti i referendum, o quasi, anche questo aveva il compito di dare voce alle coscienze, ma anche alla memoria, anche all'esperienza personale, di tutti. Di tutti, fuorché di coloro che non sono andati a esprimere il loro pensiero, e sono stati troppi. Un'Italia di inetti, di rinunciatari, di sordi al bisbigliare lieve della coscienza? Oppure al contrario, di uomini e donne irresistibilmente attratti dal canto delle sirene, come i compagni di Ulisse? Non lo so, ma mi addolora. Come ahimè spesso accade, la politica si è impadronita di questa bella opportunità, è diventata lotta becera, priva di riflessioni, priva di significato, rinfocolata astiosamente da pretestuosi ricatti, da insulti, da minacce.
Ora tutto si è compiuto, chi ha vinto - e non so cos'abbia vinto - non ha l'aria felice, perché vince sapendo di aver avuto un avversario migliore di lui, il mare.
A chi ha perso, spero che gli sia d'insegnamento e, continuando a battersi per ciò in cui crede, lo faccia senza attaccarsi alle braghe della politica.
Il mare non ha bisogno di scorribande tra leader di differenti bandiere. Il mare ha bisogno di cure, di rispetto e di amore.

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