domenica 3 aprile 2016

Countdown.

Avete mai fatto caso che siamo, quasi sempre, a scandire il tempo? A misurare il trascorrere delle ore, dei giorni, noi come perfetti metronomi, tic tac, a seguire il ritmo giusto, non della musica, del tempo. Oppure come se avessimo un'enorme pendola dentro la testa che batte i minuti, per poi annunciarci con quei rintocchi antichi che tutto si compie. Così è per me, da qualche mese. Ma, in fondo, da tanti anni, sicuramente da quando mi sono accorta di averne non troppi a disposizione. E immagino di fermarlo, il tempo, ci provo, ci proviamo tutti. Lo blocchiamo, il subdolo, il fedifrago fuggitivo, nei sorrisi sulle foto, negli abbracci con gli occhi fissi al flash; lo ingabbiamo nelle parole scambiate, di cui presto dimenticheremo il suono e il senso. Lo intrappoliamo, ancora, nei nostri letti sfatti dalle veglie notturne, quando allontaniamo da noi il sonno, perché è il baratro nero in cui ci dissolveremmo insieme, noi e il tempo.
Contrassegniamo i giorni, li numeriamo, un implacabile conto alla rovescia, un countdown che vorremmo dilatare all'infinito, nell'illusione di dilatarlo, il tempo, quello che resta. Quello che resta a noi, dei nostri brevi momenti di consapevole pienezza,  quello che resta dei giorni trascorsi, appesi noi al filo sottile dell'amore, attenti nel maneggiarlo, ché potrebbe spezzarsi.  Ce ne stiamo quieti, scaraventati in mezzo alla vita, sul ring atterrati, aspettiamo a occhi chiusi che, allo scadere del tempo, tutto sia cambiato, tutto sia come vorremmo che fosse.
Ma il tempo e il cielo si confondono e, a occhi aperti, come Adriano, entriamo nella vita nuova, sotto altre stelle, con altre parole, con altri volti ci incontreremo.

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