mercoledì 4 giugno 2014

Selvaggia e libera.

Mancavo da alcuni anni da quei luoghi talmente amati da conservarne nei sensi gli odori che evaporano dalle case e dalle campagne; le sfumature dei verdi incipriati di sabbia e quelle del mare allargato incontro ad altri destini.
Ho ritrovato le strette strade chiuse da sassi bianchi, sull'asfalto maltrattato la rena accumulata di fianco dalle mareggiate invernali costringeva alla prudenza. Ciuffi di erbe spinose affioravano come relitti sotto la caligine grigiastra. Il mare era al di là, udivo il canto delle sue sirene. Poi i centri abitati, paesoni e borghi, la barbarie dell'uomo invadeva ettari di terra, popolata prima da carrubi e ulivi. Sempre di più, l'operosa barbarie emergeva con faraonici edifici per il comfort dei viandanti di oggi. Restano isolate tracce di antica civiltà nei casolari e nelle piazze attorno alle chiese barocche; nelle facce di alcuni vecchi, quasi centenari forse, dagli occhi persi e la pelle riarsa nel lavoro dei campi e della pesca.
Il borgo sul mare non è più il mio, allora ho pensato. Le auto in colonna, marciavano a passo d'uomo, il frastuono che si levava dai motori accesi, dalle radio e dalle bocche occultava quello della risacca, che sempre accompagnava i miei piedi nelle passeggiate silenziose, scendendo verso il mare. Dai bar e dai negozi (quanti, troppi!) frotte di gente vociante, indistinta negli abiti e nei gesti, si riversavano sulla strada cercando l'estate che non c'era. Il cielo mi era amico, ho alzato lo sguardo e gli ho sorriso, era sempre lui, senza il suo cobalto esasperato, senza il suo sole meridionale: un cielo severo, che si muoveva tra le nuvole cariche d'acqua.
No, non era la mia spiaggia, non quel giorno. Non più, forse. La mia spiaggia è chiusa dentro di me, intatta negli anni che trascorrono, selvaggia e libera come la giovinezza.

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