mercoledì 8 gennaio 2014

Non più.

Non è facile iniziare un nuovo anno, non è facile per chi, come me, ha vissuto quello che è ormai solo un elenco di giorni e di date, come un anno non fausto. Non oso dire infausto ( per i nostri padri latini aveva un'accezione davvero infausta, il termine); intendo solamente dire, non gioioso, non portatore di bene, di allegria, di leggerezza. Un anno pesante, segnato da complicati meccanismi politici e sociali, da uno sfacelo economico che parrebbe essersi allontanato. se la dea Fortuna o meglio ancora la finanza e le banche mondiali e i vari Moody's e Standard &Poor's e affini propagatori di moderne pestilenze e altrettante paure, ci daranno un po' di tregua. Un anno confuso, caoticamente ricco di parole, mai se ne sono ascoltate tante e quasi tutte a vanvera, da parte della classe politica. Un anno di perdita, in fin dei conti, di assenza: del lavoro che è la fata Morgana dei nostri ragazzi e non solo; della politica, quella che dovrebbe esserci d'aiuto, quella che vorremmo vedere ben trattata e che vorremmo ritornare ad amare; della progettualità, legata a filo doppio alla speranza; perdita di progettualità che ha spedito all'estero molti giovani, come fossero pacchi postali senza recapito; della semplice voglia di condividere, se non la collera e l'indignazione. Parole queste abusate, è vero. E ne faremmo volentieri a meno, vorremmo adoperarne altre di parole.Non più assenza, perdita, rabbia, sdegno. Non più. Non più vergogna per i morti nel nostro mare e per i loro compagni sopravvissuti e trattati come bestie da spidocchiare; non più i morti per le piogge autunnali o i terremoti perché si è costruito male e dappertutto; non più sentirsi umiliati perché il nostro Paese è uno di quelli in cui si legge di meno e dove la cultura piglia sberle in faccia dai soliti cafoni; non più sapere che da noi la donna è ancora troppo spesso vittima di abusi e violenze e a molti appare come un'ovvietà; non più la visione di chi soffre di mali incurabili ed è costretto a lasciarsi morire per protesta, perché senza la morte nessuno ti presta orecchio; non più code alla Caritas di anziani che non hanno altro se non il proprio nome e il proprio passato; non più ai nostri Musei chiusi perché non ci sono i fondi per tenerli aperti o alle Chiese e agli edifici storici in rovina, alla Reggia di Caserta e a Pompei che tutti vorrebbero e che noi possediamo e ce ne infischiamo. Non più alla corruzione, basta con il rubare, basta con le frodi, le evasioni, i raggiri, le sconcezze di amministratori e politici. Ho di sicuro dimenticato qualche "non più", avrei dovuto ricordare lo strapotere delle associazioni mafiose, ma già se venissero attuati quei non più che ho citato, le mafie prenderebbero una solenne bastonatura, una di quelle batoste da non dimenticare. E dipende da noi tutti che tutto ciò avvenga, lo Stato siamo noi, c'è poco da fare, scriveva bene Piero Calamandrei. Piaccia o non piaccia, lo Stato siamo noi e non un fantomatico e anacronistico Re Sole. E siamo anche la Storia; facciamola diventare nostra, impossessiamoci di essa, rendiamola fertile, fecondiamola con le nostre vite, il nostro sapere, le nostre speranze, la nostra volontà. La Storia siamo noi, proprio come canta De Gregori. Ma credo di averlo gà menzionato un anno fa, come vedete, nulla è mutato.    

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