Ci sono giorni in cui la vita
si rovescia su di te. Come un uragano essa
si abbatte su di te, ti sradica dalle tue abitudini, dalle tue stanze
d’ombra e di luce, dal tuo stesso corpo. Straniata da ogni cosa, cerchi di
aggrapparti alla mano che ti si offre, ma è distante e precipiti nel vuoto.
Precipitare dentro se stessi, senza paracadute, una caduta libera e violenta
del cuore, delle viscere. Del cervello. Il dolore è sordo, non dà remissione.
Non esiste un analgesico e cerchi di non dargli retta, raccattando le parti del
tuo essere, i suoi pezzi infranti. E ti metti
all’opera, come un restauratore di antichi reperti, tentando di ridare forma e
senso a te stessa, incolli come puoi quei pezzi, sapendo che piccole crepe
resteranno sempre visibili. Ti chiedi perché e un perché non c’è. Non c’è mai
un perché al dolore e alla sconfitta. Se ne stanno ben rannicchiati nelle
pieghe del tempo, ti seguono da vicino come invisibili angeli, ti circuiscono
con menzogne d’una calma rasserenante che non è calma, solo il preludio della
fine. E mentre ti rialzi e ti ricomponi in gesti e fattezze umane, mentre
riprendi a camminare con i passi esitanti di un bambino, mentre vai a sfiorare
quella mano che avresti voluto tenere sempre salda nella tua, sai che nulla
sarà più come prima. Il cuore è precipitato, il cuore si è schiantato; la mente
è preda di assilli senza volto, oscuri nembi la ricoprono, l’eco di parole
dette è venata dalla follia. Parlare d’amore, non c’è più tempo. Rimane una
sorda furia che batte nelle vene. No, non sarà nulla più come prima.
foto di Lois Greenfield,
dal diario di Adele (L'assente)
Nessun commento:
Posta un commento