Quello che segue è un breve racconto al quale mi è piaciuto dare il ritmo, l'andamento di una poesia. Ma non lo è.
La colomba
appesa
Intrecciavamo
le mani come canestri di canne
Salendo tra
le pietre smozzicate da molti piedi
E c’era la
luce che finiva nel buio profumato
Della chiesa
altissima e le voci erano bisbigli d’api
I colori
colavano sulle pareti squarciando l’ombra.
Stavamo
conficcati tra le panche e i marmi
E le nostre
teste s’erano spiccate dal collo
E gli occhi
portavano nell’iride le polverose ocre
E i rossi e
i verdi e il turchino di quei racconti.
Uscimmo
tardi e correndo quasi con le vertigini
Ancora che
danzavano dentro noi, giovani eravamo.
La colomba
era lì appesa per un’ala al portale
Serrato alla
dolce notte umbra, serrato a tutto il resto
Non piangeva
la piccola colomba, si muoveva piano
Battendo il
bronzo ostile e le penne spiegate
Parevano un
bianco ricamo del ferro antico.
C’erano
fischi nelle orecchie e tonfi al cuore:
Ero io la
colomba appesa e sghemba al portale.
Un fracasso
di pugni e le nostre grida di dolore
Eravamo noi
con le ali spezzate e le gole d’ubriachi
Quando
s’allargò il portone e il volto allegro
Di fratello
buono ci sorrise e la colomba volò.
Volò non so
dove, forse verso la luna che candida era
Come lei e
la scambiò per madre, forse.
C’era l’aria
che s’era fatta nera, ma noi s’andava
Leggeri,
quasi saltando e da un noce ci salutò un gufo.
Giotto - La predicazione agli uccelli - 1292/96
Nessun commento:
Posta un commento