giovedì 5 ottobre 2017

La colomba appesa.

Una breve lettura ed ecco che i ricordi cominciano a saltellare, premono, insistenti e prepotenti. E un episodio lontano si staglia nitido e mi riempie d'una gioiosa malinconia.
Quello che segue è un breve racconto al quale mi è piaciuto dare il ritmo, l'andamento di una poesia. Ma non lo è.

La colomba appesa

Intrecciavamo le mani come canestri di canne
Salendo tra le pietre smozzicate da molti piedi
E c’era la luce che finiva nel buio profumato
Della chiesa altissima e le voci erano bisbigli d’api
I colori colavano sulle pareti squarciando l’ombra.
Stavamo conficcati tra le panche e i marmi
E le nostre teste s’erano spiccate dal collo
E gli occhi portavano nell’iride le polverose ocre
E i rossi e i verdi e il turchino di quei racconti.
Uscimmo tardi e correndo quasi con le vertigini
Ancora che danzavano dentro noi, giovani eravamo.
La colomba era lì appesa per un’ala al portale
Serrato alla dolce notte umbra, serrato a tutto il resto
Non piangeva la piccola colomba, si muoveva piano
Battendo il bronzo ostile e le penne spiegate
Parevano un bianco ricamo del ferro antico.
C’erano fischi nelle orecchie e tonfi al cuore:
Ero io la colomba appesa e sghemba al portale.
Un fracasso di pugni e le nostre grida di dolore
Eravamo noi con le ali spezzate e le gole d’ubriachi
Quando s’allargò il portone e il volto allegro
Di fratello buono ci sorrise e la colomba volò.
Volò non so dove, forse verso la luna che candida era
Come lei e la scambiò per  madre,  forse.
C’era l’aria che s’era fatta nera, ma noi s’andava
Leggeri, quasi saltando e da un noce ci salutò un gufo.


Giotto - La predicazione agli uccelli - 1292/96






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