venerdì 27 ottobre 2017

C'è qualcosa che non va.

C'è qualcosa che non va.
Se la frequentazione dei social ha un merito ( tra gli innumerevoli demeriti)  è quello dello svelamento. Non basta la segregazione volontaria dietro un piccolo o più ampio schermo, non ci protegge. Infine il velo cade e ci si mostra, siamo trasparenti e lasciamo che trapeli tutto di noi. Anche se non ce ne accorgiamo, anche se ricorriamo a sotterfugi e  a ingannevoli silhouettes delle nostre pulsioni,dei nostri istinti, dei nostri umori.

Un treno che si è bloccato in mezzo al deserto. Il Tempio vociante di mercanti e nessuno che li cacci via. La maschera greca di Ipocrita incollata sulla faccia del prossimo. Il prossimo che non c'è. Che non è l'evangelico prossimo tuo, miserevole e affamato, depredato e sofferente, ma sempre e solo il prossimo dal quale, in qualunque modo e senza alcuna certezza (ma vale sempre la pena tentare la sorte) si potrebbe trarre beneficio, materiale o no. Ci si contenta pure del beneficio floreale, dell'omaggio, della condiscendenza di essere contiguo a chi si reputa, giustamente e anche non, migliore di noi. Se non, addirittura più potente. La ricerca della raccomandazione (pratica italiana diffusissima) nasce anche da questa smania di appartenenza, di appoggiare la propria schiena, ritenuta ipocritamente fragile, a quella più salda dell'altro, del più noto, del più richiesto.
Anche la mitomania (altro vizietto italico) prende le mosse da questa bramosia di credito, un credito che si esige dalla vita, senza un vero motivo. Per noia forse, per insoddisfazione, per solitudine.
E allora non guardiamo ai politici come fossero mostri, draghi infettanti, erbe infestanti. Sono il nostro io incosciente e cosciente, ipocriti, bugiardi, mitomani, diffidenti, voltagabbana, profittatori, opportunisti.
Quando ci verrà voglia di prenderli a schiaffi (e avviene di sovente), basterà prendere a schiaffi la nostra faccia. Forse qualche vantaggio ne trarremo.

C'è qualcosa che non va.
Oggi mi è capitato di leggere in un post: sono diventato anticonformista a undici anni, quando la mia insegnante di italiano mi obbligò a leggere "Se questo è un uomo." L'anticonformismo dell'autore del post si dovrebbe evincere dalla sua presa di posizione riguardo allo squallido caso della tifoseria e presidenza della Lazio, ritenendo infatti l'autore del post che non sia stato commesso reato, né tantomeno che il presidente della squadra dovesse avvertire l'obbligo di scusarsi con la comunità ebraica.  Quindi si definisce anticonformista, ma non nazifascista, secondo le accuse di qualche "moralista" (così tacciato dalle anime belle andate in soccorso dell'anticonformista). C'è qualcosa che non va. No.

Le mie certezze rischiano di crollare in minuscoli frantumi, sono scossa da un turbamento profondo, io che sapevo chi ero, io che ero sicura di essere un'anticonformista, ebbene no! Sono solo una beghina, una bacchettona conformista e moralista per giunta! E va bene così, mi va bene, per Levi e per Anna Frank, mi va più che bene.
Alla faccia degli anticonformisti convinti di esserlo. Salute a voi, dunque (ma non con la mano tesa).


Edouard Manet Le fifre, 1866

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