martedì 21 marzo 2017

L'ultimo giorno.

Primavera entra nelle stanze, s'affaccia sugli alberi e negli orti, rasserena i giardini. E ingaggia la finale lotta contro l'inverno che ansima e soffia e sbuffa, ma sa che il momento è giunto, deve lasciare il posto a questa bella giovinetta ammaliatrice foriera di gemme e di procelle ormonali.
Ma oggi è anche la giornata mondiale della Poesia e i Greci le davano volto e nome tramite le Muse protettrici, giovani donne avvolte in svolazzanti e leggere vesti chiare  fluttuanti nei dipinti così come l'Arte le ha mostrate a noi. E pensando a queste immagini di leggiadra aerea bellezza, e pensando anche all'ultimo giorno della fredda stagione e al primo che s'avvicenda della lieta, ho scelto tra le cento e cento poesie che più amo, questa.


 L’ultimo giorno 


La giornata era fosca. Nessuno prendeva decisioni. 
Soffiava un vento lieve: «Non è greco, è scirocco» disse qualcuno. 
Qualche cipresso magro inchiodato al declivio e il mare grigio, 
con lagune di luce, laggiù. 
I soldati presentavano le armi quando venne una pioggia fina fina. 
«Non è greco, è scirocco»: l’unica decisione che si udì. 
Pure, lo sapevamo che l’indomani non avremmo avuto 
più nulla, né la donna che beve al nostro fianco il sonno, 
né la memoria d’essere stati uomini, una volta, 
più nulla, l’indomani. 

«Questo vento dà l’idea di primavera» mi diceva l’amica 
camminandomi a fianco e guardando lontano 
«di quella primavera calò improvvisa 
d’inverno presso il mare chiuso. 
Tanto inattesa. Tanti anni passati. Come 
morremo?» 

Girava una marcia funebre nella pioggia sottile. 
Come muore un uomo? Strano, nessuno ci ha pensato. 
E per chi ci ha pensato è stata come una reminiscenza 
di certe vecchie cronache 
del tempo dei crociati o della naumachia di Salamina. 

Pure la morte è una cosa che succede: come muore un uomo? 
Pure la morte ognuno la guadagna, la sua morte che 
non è di nessun altro: 
questo gioco è la vita. 
Declinava la luce sulla giornata fosca. Nessuno 
prendeva decisioni. 
E l’indomani non avremmo avuto più nulla: una totale 
resa; neppure più le nostre mani; 
le nostre donne schiave di stranieri alle fontane 
e i nostri figli nelle latomie. 
Camminandomi a fianco cantava l’amica una canzone mutilata: 
«La primavera, e poi l’estate, schiavi…» 
Venivano alla mente vecchi maestri che 
ci lasciarono orfani. 
Una coppia passò chiacchierando: 
«La sera m’ha stufato, andiamo a casa, 
andiamo a casa a accendere la luce»

Atene, febbraio 1939
Giorgos Seferis

Sandro Botticelli "La Primavera" 1477-1482
 

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