A ciascuno
il suo. A ciascuno il suo lavoro, a ciascuno la sua vita, a ciascuno la sua
passione e i suoi diritti e i suoi doveri,.
Non si
capisce più niente, è in atto una commistione turbolenta di ogni cosa, un sovrapporsi concitato e confuso di voci e
di parole che ci aliena, che ci allontana non solo da una comprensione profonda
e matura degli eventi, ma anche l’uno dall’altro: siamo squassati da
informazioni pret à manger, un fast food
del pensiero e del linguaggio che ci lascia storditi e in preda a una
digestione malsana. Ingurgitiamo tutto frettolosamente per rigurgitarlo dopo,
senza avere metabolizzato alcun nutrimento necessario.
Ma cosa ci
si poteva aspettare d’altronde? Ci siamo perditi in un mondo dove i valori, ci
dicono gli esperti, sono coincidenti; o meglio non esistono più gli antichi antagonismi
tra valori, vecchi stereotipi di una società obsoleta, morta affermano con
sicumera. Io vedo solo una sterminata massa vischiosa, una gelatina ove
confluiscono tutte le aspettative e le paure, contraddittoriamente affiancate. Le utopie della sinistra, sconfitte, galleggiano boccheggiando, non trovano
l’ossigeno per prendere il volo. E
sorgono altri soli da cui farsi irradiare, non nuovi, non sconosciuti, ma
abbagliano. C’è di tutto allora, c’è il comico che si mette a urlare e crede
che la politica si faccia con gli occhi truci e i versacci trucidi; c’è il
senatore che non gli pare vero di essere lì, nella Camera Alta e sghignazza
soddisfatto se gli fanno il verso; c’è la sequela, ma proprio un codazzo come
alla biglietteria di un concertone, di ominicchi travestiti da politici, e di
mafiosi, camorristi, ‘ndranghetisti, che aspettano di entrare sgomitando per
accaparrarsi il posto migliore nel business degli appalti delle martoriate
città; ci sono un manipolo di uomini forti,
anche qualche donna c’è, di quelli che hanno le palle d’acciaio, uomini
e donne tutti d’un pezzo, che smaniano per dare un calcio al presente incerto ,
per tornare a un passato glorioso di Patria, Famiglia, Nazione e Dio, se
proprio è necessario.
E noi? Noi
poveri comunissimi mortali? Noi ci arrangiamo, facendo del nostro meglio per
esserci. Ci inventiamo, ci creiamo. Così, come i politici non hanno più niente
a che fare con la Politica, noi dimentichiamo noi stessi, smemorati e
rabbiosi, ci applichiamo per essere altro, per mostrare che ci siamo, ci siamo
anche noi..Diventiamo esperti di tutto, argomentiamo su tutto, la psicanalisi è
una sciocchezzuola, noi lo sappiamo bene, noi conosciamo; e la Politica? Vuoi mettere?
Quisquilie, il bla bla bla dei talk e l’arringa del leader prescelto ed è
fatta, beliamo alla grande! e la cultura, la letteratura? Un pugno di libri, quelli che
riusciamo a leggere ed ecco che ci permettono di diventare critici ed esegeti.
Se non, in uno slancio pindarico, qualche volta, persino poeti. Male che vada
onesti narratori. Oggi scriviamo tutti, non è cosa da poco, dovrebbe indurre a
qualche riflessione. E poco importa se scriviamo magari ricalcando la maniera
di scrivere di qualcuno che ci piace; non importa se, in ambito musicale,
facciamo un quasi plagio da altri, poco importa: i rumors sono assordanti e
tutti ne siamo distratti.
In tutto
questo gigantesco robot tritatutto sparato a velocità folle, stanno loro. Se ne stanno ai bordi a osservarci e hanno
gli occhi pesanti e stanchi: sono i ragazzi che saltano da un lavoro a un altro,,
e a volte non ce la fanno a scansare il baratro; sono gli esclusi delle città
metropolitane che si spartiscono lo spazio di un ponte o di una tettoia con i
cani; sono le masse indefinite dei migranti, senza posto al mondo, i soggetti
di una nuova, terrificante diaspora.
Ma noi
continuiamo a fendere l’aggrovigliata melassa, incuranti e stolidi.
No, mio
amatissimo Zygmunt, la società di oggi non è liquida, consentimi di correggerti
sorridendoti malinconica, la società è gelatinosa. Una enorme, inquietante,
pericolosa massa di gelatina.
Renato Guttuso "Vucciria" 1974
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