mercoledì 22 febbraio 2017

Oggetti e ricordi.

Quelle che io chiamo cesure, sono accadute tante e tante volte, nel corso della mia vita. E sono certa, accadono in quelle di tutti, un taglio, voluto o casuale e zac una lunga pagina non c'è più. Diventa solo un foglio da appallottolare nel cestino dei rifiuti; nel più dolente epilogo, da custodire in una immaginaria carpetta insieme ad altri fogli scaduti e ormai inutili.Da questre improvvise cesure, scattano su, comme i giocosi misirizzi di un tempo, i ricordi. Si può a lungo discutere sull'inutilità dei ricordi, sul rammarico che ne deriva che, spesso, si tramuta in sofferenza. Chi è pragmatico, chi ha scelto di vivere nel presente con gli occhi al futuro, pur se indecifrabile, solitamente considera il passato alla stessa stregua di contenitore ove riposano vecchi oggetti familiari, ormai inutilizzabili. E non dico che abbia torto, invidiabile quella testarda voglia di cancellare o, almeno, di mettere in soffitta ricordi ed emozioni.
A me è sempre stato difficile, anche da giovane. Non sono mai riuscita a sbarazzarmi di niente, né di oggetti, né di avvenimenti, né di episodi, tantomeno dei ricordi legati alle persone che, anche per breve tempo, mi sono state vicine. Sono una ricercatrice, in tal senso, dei ricordi, li assaporo, li accarezzo, li corteggio in un incessante percorso della mente e del cuore.
Ci sono oggetti che parlano. Una casa parla, le sue pareti bisbigliano, le sue stanze sono impregnate degli odori e delle frasi che hanno, per anni, inghiottito, mute osservatrici delle esistenze che ospitavano. Gli oggetti sono semplici cose, fatte di materia inerte, mi si dice. Vero, inconfutabile. Ma quegli oggetti inerti sono stati nelle mani di persone amate, quelle case sono state testimoni di pietra della vita: attorno al tavolo della cucina dipinta d'azzurro provenzale, sotto il riverbero chiaro e celeste della lampada di opaline, ce ne siamo detti di cose, abbiamo parlato di sogni, di speranze e di delusioni, di amori e di dolori, un lungo racconto spezzato, com'è giusto che sia.
Me li porto appresso i miei oggetti, io non sono pragmatica, io vivo sempre sospesa e i ricordi sono, per me, la corda che mi aiuta a non cadere.


Vincent Van Gogh " La chambre à Arles"  1888

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