sabato 11 febbraio 2017

Palmarès.

Non è un argomento di grande notorietà, né di  grande fascinazione. Per anni e anni è stato un argomento taciuto e adesso se ne discute, con cautela, adesso c'è il Giorno del Ricordo. Personalmente ne ebbi contezza molti anni addietro e non fu facile strappare le parole di bocca a chi me ne accennò con dolente pudore perché coinvolta e ferita negli affetti più grandi. Pochissime frasi, accenni appunto, che non mi permisero di ricavarne altro se non sconcerto e turbamento.La donna che mi raccontò, donna a me molto cara, era un'esule istriana e lo sforzo fu enorme, era evidente la volontà di non ricordare, di seppellire, pur con una sottile venatura di malinconica rabbia, quel triste passaggio della sua vita.
Da qualche anno, con una titubanza inspiegabile, se ne parla, il doloroso orrore delle foibe e degli infoibati è entrato nelle diatribe politiche e televisive. E c'è, com'era prevedibile, chi le usa e li usa come una clava, gridando alla vendetta nella pretesa e presunta lotta tra vittime e boia, tra chi fu, allora, il peggiore, il più sanguinario. Come se ci potesse e dovesse essere un palmarès delle atrocità. Costoro sono, loro sì, i peggiori nemici delle vittime, agiscono non in nome di una pietas ecumenica e imparziale, ma sotto la spinta insana dell'opportunismo politico.  Termini come nazionalismo e patria diventano un rinnovato pericolo nelle loro bocche.
La memoria non deve giocare con la storia e liquidare la storia e quegli anni terribili ponendo sulla bilancia le libbre di carne non fa giustizia a nessuno. Perché furono anni terribili e oscuri e molto più complessi  di quanto si possa e si voglia dire.

Michelangelo Merisi da Caravaggio "David con la testa di Golia" - 1609 ca.

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