martedì 1 marzo 2016

Immoralista. Anche io.

Volevo resistere alla tentazione di scriverne, troppe parole si stanno sprecando sul tema. Ma poi è bastato qualche commento per scatenare in me una ridda di sentimenti, primo fra tutti, lo sconforto, E anche una sorta di soporifera stanchezza. E ancora, al contempo, un'insana volontà di essere "immorale" se l'essere morali, oggi, significa schierarsi, sbandierando il proprio disgustato dissenso, contro il caso dei casi: la nascita di un bambino, voluto da una coppia gay - superfluo ricordare, ma lo faccio, che uno dei genitori è Nichi Vendola, esponente di spicco di Sel - mediante la modalità dell'utero "in affitto". Che già, di per sé, fa raccapriccio e la dice lunga su quello che, dalla società normale (sic!) si dovrà aspettare l'innocente appena venuto al mondo.
Ciò che mi agita e mi stanca e mi sconforta è, non solo il fanatismo di alcuni (da parte di certi personaggi è anche ovvia la reazione indignata e furibonda), ma l'ipocrita ululare dei più, improvvisamente divenuti guardiani della morale in un mondo che di morale non ha nulla. Per mesi e mesi abbiamo assistito allo scempio compiuto ai danni della storia e della civiltà umana in Siria da parte di sciagurati terroristi ed eccettuato qualche timido accenno, zero, nessuna voce, nessuna rabbia; per mesi e mesi, abbiamo assistito alla creazione di muri di contenimento, trincee di filo spinato, atti a contenere orde di disperati in fuga dalla morte e dalla fame, zero, anzi no, sono arrivate le voci, chiare e stentoree, dei distinguo, chi merita e chi no; per mesi e mesi e ancora oggi, le bombe piovono sui civili in Siria e i bambini muoiono come le mosche (come d'altra parte, da anni in Palestina, muoiono sia gli israeliani che i palestinesi) e sì, se ne parla, ma poi è tutta la solita solfa, è la guerra e la guerra ha dei costi, si sa; da un mese circa c'è un ragazzo che vorrebbe la verità sulla sua morte e con lui la famiglia, perché è stato assassinato in un paese dove si sa che c'è la tortura e la pena di morte e chi non accetta certe norme scompare, ma si sa, è così e anche qui i distinguo dei fini pensatori e politologi. Mi sovviene un solo caso che ha mobilitato le dita torpide dei commentatori dei social e le voci, sempre stentoree dei politicanti, ed è stato quello dell'estate scorsa, del  bambino
 annegato e spiaggiato come un piccolo di delfino in Turchia. Allora l'indignazione raggiunse l'acme, si ebbe il climax della tragedia di cui eravamo silenziosi spettatori. Poi tornò il silenzio e il bambino fu dimenticato.
Ora ce n'è un altro, di bambino, ed è vivo. Ma la sua nascita e il concepimento non rientrano nei canoni della morale comune, forse della decenza comune. Non mi metto a discutere, ripeto, sono stanca, stanca che si dia la priorità a un fatto privato, stanca di sentire i giudizi di altri sulla vita di altri. Stanca di avvertire un pruriginoso moralismo erompere dalle gole quando l'argomento, in qualche maniera, attiene alla sfera sessuale. E noi italiani abbiamo sempre avuto un rapporto contraddittorio con il sesso, chissà perché. E allora, tirando le somme e non volendo più sentire il peso di tale stanchezza morale, ho deciso, lo ridico: se essere morali significa indignarsi per un utero e per un bambino da questo nato, io mi dichiaro immorale, Anzi, immoralista e cito Gide.

«Mi è dolce pensare che dopo di me gli uomini si riconosceranno più felici. Per il bene dell’umanità futura, ho compiuto la mia opera. Ho vissuto».

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