Ecco,
quello era il succo della spremuta. Adele non ce la può fare da sola. Adele ha
due figli e un marito a cui pensare. Una casa da pulire, anche se c’è la colf a
ore, il lavoro è tanto. Ergo, Adele non
è capace di cavarsela al di fuori delle mura domestiche. Fino a quando si tratta di incerare e
spolverare e lavare e stirare, Adele è il massimo, una dea Vesta col sorriso stracco
e scimunito, amorevolmente fisso sugli abitanti della domus.
Sulla
tavola la zuppiera era vuota, Adele si alzò e dalla credenza prese la teglia della
parmigiana, le prime melanzane, un’ora a friggere, e nel microonde si
scaldavano le crepes di nutella per i ragazzi e alla crema di limone per
Pietro. Una mattinata avanti e indietro, a lucidare con le ciabatte la ceramica
della cucina e, come se non bastasse, era anche uscita per portare il pranzo
alle due vecchiette e a Dishna. Era sgattaiolata fuori dalla casa della madre
senza salutarle, una criminale oppressa dal misfatto commesso. E ora, eccola lì
in quella stanza già arrostita dal sole primaverile, accerchiata dai mobili
austeri della suocera, accerchiata dai tre che esigevano risposte e cure. Non
era una dea benigna. No, si sentiva, piuttosto, lo spirito malevolo di una
strega che le zampettava dentro. Non
voleva un altare dove si potessero appendere ghirlande e ceri votivi per
propiziarsi i favori.
(Tratto da "L'assente")
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