Anche questo Natale è trascorso, diverso e sempre uguale, con i rituali d'obbligo a cui, ogni dicembre, promettiamo solennemente di sottrarci. E invece, puntualmente, le promesse si infrangono come le palle di vetro soffiato che adornano l'abete, non vogliamo che sia diverso. Scaramanticamente, forse, per paura che mutando abitudini anche la nostra vita possa mutare. In fondo è questo il Natale, un'epifania di buoni sentimenti avvolti nella carta dorata, infiocchettati e posti sotto l'abete; la conferma che ci siamo ancora e che ci sono glia altri. In un turbinare di finto nevischio, di jingle bells e whithe christmas sparati nei negozi e negli ipermercati, di addobbi e gingilli trascinati dalle renne non più lapponi ma cinesi e taiwanesi, di panettoni e dolci e spumanti sbriciolati, addentati, stappati e ingurgitati e tracannati nel vociare delle tavolate di plastica rossa. Tutto come l'anno prima, tutto accettato e anche accolto, come si accoglie un vecchio amico che, sappiamo, ci riporterà indietro, al tempo incantato della nostra infanzia.
Fuori, è fuori da noi, non ci appartiene. Le notizie tristi e sconvolgenti di sofferenze e dolore si impastano con il sapore dolciastro dell'uvetta e dei canditi.
Va bene anche questo, per una volta. Per una volta si può dimenticare, solo il tempo di assaporare il calore degli abbracci e delle risate di chi ci ama e di chi amiamo.
Arriva
diritto al cuore
un
proiettile di luci,
di
carta crepitante,
di
sacri canti alcolici.
Il
panettone tronfio
raccoglie
le bocche
attorno
all’agrifoglio
sul
tavolo ora spoglio.
Spoglio
di te, mischiata
alle
assenze lontane
Assenza
preziosa
mi
tremi nel petto
mi
scorri negli occhi.
Aspetterò
ancora.
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