martedì 16 settembre 2014

Nell'alba.

Ci sono giorni particolari, si sa. Giorni nei quali ci si sveglia all'alba, senza un motivo,  e si corre fuori verso l'aria fredda che sferza e dirada le nebbie notturne. C'è sempre quella luce fuori, quel rosa livido sospeso sugli alberi e sulle case e si rimane a osservarlo, con gli occhi rivolti all'est, fino a quando trascolora e si muta in rosso. Il sole sale veloce e accende tutto, l'opacità notturna sbiadisce al suo irrompere, quasi violento. E si rientra nella penombra ancora scura e odorosa di buio. E si vorrebbe restare così, nella sommessa quiete delle stanze. Senza affacciarsi al mondo, senza accendere la radio e il televisore, senza collegarsi a Internet. Senza squilli di telefoni, solo il silenzio nella mente. E invece bussano da tutte le parti, chiamano, strepitano. La città si sveglia e spezza la quiete. Il mondo si affaccia e non ci si può nascondere, ti cerca e ti vede. Questo mondo infetto e pazzo, con le sue eterne guerre e i suoi massacri che non ti lasciano scampo. Se hai una coscienza; se hai orecchie per sentire le urla di dolore; se hai occhi per vedere l'orrore che si compie.
Ci sono giorni nei quali si vorrebbe parlare, gridare anche, ma sai che è inutile. Nessuno starà ad ascoltarti, neanche chi ti è accanto. Anche lui sperduto nell'alba di un nuovo giorno, anche lui afferrato dalle tue stesse paure.
Io li chiamo "i giorni spezzati" perché, fragili come cristalli, vanno in mille pezzi.
Allora provo a raccattarli, questi pezzi, faccio che combacino e provo ad attaccarli con la colla della paziente attesa. E della speranza.

Nessun commento:

Posta un commento

Lettori fissi