martedì 23 settembre 2014

Da una città all'altra.

Nel flusso di pensieri ne pesco qualcuno strampalato eppure talmente pressante, che le dita si agitano alla ricerca dei tasti, una volta avrei detto "della penna", ma il progresso esclude spesso oggetti di nobili virtù. La stramberia di oggi è che non ho voglia di riflettere, non penso. O meglio voglio pensare solo a cazzate. Voglio mettermi a scrivere che faccio dei dolci e che non mi riescono e chiedere il perché agli amici dei social; voglio fare un selfie e sono indecisa se assumere una posa sexy (alla mia età? uhm, meglio lasciar perdere) oppure scegliere una  posa filosofica-intellettuale-rompolepalleatutti (questa mi verrebbe meglio) e postarlo subito; voglio condividere una decina di barzellette cretine che si guadagnerebbero, sicuramente, centinaia di like e il mio ego si espanderà in maniera spropositata; voglio intervenire in qualche battibecco in cui non c'entro e di cui non me ne frega un tubo, solo per il gusto di infastidire; voglio raccontare le esperienze, manco a dirlo uniche, del mio ultimo viaggio all'estero (quelli in patria non contano), solo che questo risale ad alcuni anni fa e chi se lo ricorda.  Insomma, ho voglia di essere un'abitante degna dei social, una di quelle che fanno la differenza (con gli esseri pensanti, beninteso).
E mentre batto sui tasti, rimugino e rimugino e una luce si accende, benevolmente disposta. Ma non è che basterebbe uscirsene un po', andare a sedersi in un bar con quattro amici/he e scambiare, non opinioni, no, solo pettegolezzi, quisquilie, titillanti nuove su questo o quello (tanto, per tutti "pari sono")? In fondo è la stessa cosa, non cambierebbe granché: passerei dalla sconfinata (sembra, ma è poi vero?) città virtuale, alla mia conosciuta, bien- aimée- detestée, realissima città.

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