martedì 29 luglio 2014

Immutabili detriti.

Sto leggendo un libro di Julian Barnes, "Il senso di una fine" è il titolo. Procedo lentamente, correggo i refusi di un mio libro al quale tengo molto; mi spremo le meningi per scriverne un altro (per ragazzine) che mi è stato commissionato; vivo la mia vita di donna che ha ancora dei "doveri" da assolvere. Ma procedo a passo di lumaca nella lettura anche perché torno spesso indietro, ficco la testa e il cuore nelle parole di questo scrittore inglese e mi sembrano talmente conosciute, sperimentate, da lasciarmi sbalordita. Come senza fiato.
Il tempo che scorre più velocemente di quanto vorremmo quando si è giunti al traguardo della "certa età"; l'inesorabilità dell'approssimarsi della fine, non solo fisica, ma spirituale. Il crollo dei desideri e delle attese; l'attaccarsi ossessivamente alle abitudini; il reiterarsi di situazioni, nelle stagioni che si rincorrono. E sullo sfondo i ricordi di quello che abbiamo fin qui vissuto, la memoria dolente e gioiosa di ogni affanno e di ogni felicità goduta. Il rimpianto delle occasioni smarrite lungo il cammino che si fa a volte struggente; il rimorso verso chi non siamo stati in grado di amare abbastanza o, semplicemente, di aiutare. Il rimorso verso noi stessi per non essere stati altro se non quello che rimane di noi nel riflesso di uno specchio, negli sguardi di chi ci è vicino ancora.
Leggendo queste pagine, mi accorgo che anche l'estate ha imboccato la via del non ritorno. Un'altra che se ne andrà,  portando con sé un bagaglio vuoto, poco caldo ( Fortuna ha voluto che sia mite), zanzare,  la consueta fiacchezza. Lascerà una micetta color cipria e tutte le incertezze di prima.
Niente di diverso, in fondo. Tutto si ripete, il tempo scorre rapido, ma ogni cosa resta inerte nel posto in cui, ordinata mente, si era collocata. No, Eraclito si sbagliava: Solo il tempo scorre e tutto resta, come immutabili detriti.

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