lunedì 14 luglio 2014

I bambini di Gaza non sono ologrammi. Non ancora.

Sul finire del millennio scorso, in preda alle suggestioni dolorose dei recenti conflitti nel Kosovo e prima ancora della guerra del Kuwait, avevo scritto brevi frasi su quel mio sentire di allora. Sono trascorsi circa venti anni e la società si è trasformata in maniera talmente accelerata da togliermi il fiato e, spesso, la capacità di stare al passo con essa. Inutile soffermarsi a elencarne i dettagli, basta guardarsi intorno, dare un'occhiata alle news che i media ci scodellano quotidianamente per rendersi conto che siamo già nel futuro. Tra breve i nostri interlocutori preferiti saranno non più amici e compagni di lavoro in carne e ossa, ma i loro ologrammi. La vita si svolgerà in 3D e ognuno potrà crearsi la realtà che più gli conviene. Prosit! E va bene, quelli della mia età ne vivranno uno scorcio, il tempo di dare una sbirciatina, il tempo di scrollare la testa in segno di rassegnato sconforto e via dalla scena, le generazioni di figli e nipoti scalpitano impazientemente preparate alla sfida.
La società, globalmente, è cambiata dunque. Ma non la Storia, non la propensione dannata degli uomini a farsi guerra, a scannarsi per qualunque motivo, il più gettonato e il più subdolo sempre quello legato alla diversità di credo religioso.
Oggi come allora sono gli occhi dei bambini a darci la misura dell'orrore di un conflitto. Sono i loro sguardi neri e innocenti, ignoranti di ogni cosa fuorché della caparbia voglia di vita.
La Storia rimane ugualmente feroce, oggi come allora nell'indifferenza e nell'abitudine alla ferocia; la società cambia in una girandola vorticosa di tecnologie sempre più stranianti, avvicinando l'essere umano sempre più a un'esistenza in cui la materia diventa incorporea, diventa un'immagine del cervello da materializzare tramite un tasto.
I bambini delle guerre per il mondo, i bambini di Gaza, però, non sono ologrammi. Non ancora.

Ballando 1995
Ballando abbracciata
all’idea spezzata
come ossa di case
nei campi bruciati,
al sogno negato
dei bimbi ingannati
dal gioco mortale,
mi volgo al gran salto
al di là del duemila.
Privilegio invitante
che il tempo mi dona
senz'altra richiesta
del non ricordare.
Ballando ballando
mi reco alla festa.


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