Riflessioni tra me et moi.

lunedì 30 giugno 2014

Indulgenza o no?

Oggi mi piace pensare alla generosità e non mi riferisco a quella (non solo) del dare, dell'offerta, del dono. Penso alla generosità dell'indulgenza, del saper comprendere e perdonare. Di per sé la parola "indulgenza" riporta alla memoria atti legati a una religione notarile, per me insignificante: essere indulgenti con chi ha commesso peccato e si pente, meglio se pagando un onere pecuniario o, nel migliore dei casi, recitando una sfilza più o meno lunga, a seconda della colpa, di litanie e preci. Per me assume invece un significato tutto laico, legato alla sfera dei sentimenti umani, una forma di gentile partecipazione dettata dalla comprensione e dalla condivisione della sofferenza o della colpa, se mai colpa c'è stata e va da sé che mi riferisco a colpe "veniali".
Quante volte ci è capitato di ergerci a giudici degli altrui comportamenti? Quante volte abbiamo stigmatizzato come "stupide, puerili, poco serie, incomprensibili,  poco credibili" le azioni e le parole di una persona, anche vicina, unita a noi anche da vincoli parentali? Molte volte, temo. E spesso senza cognizione, senza riflessione alcuna. Se semplicemente ascoltassimo meglio noi stessi, se ogni tanto rivolgessimo le nostre cure a noi stessi, ci accorgeremmo di essere stati anche noi, in alcune circostanze,  sindacabili di giudizi poco lusinghieri, di essere stati "stupidi, puerili, poco seri" e tutto il resto, se non di peggio. Ma ecco che, improvvisamente, ne prendiamo contezza e ci troviamo di fronte a un bivio. Possiamo provare vergogna e quindi soffrirne; oppure possiamo provare "indulgenza" per noi stessi. Il che accade spesso. E allora mi chiedo perché non operare il transfert e regalarla anche ad altri, a chi ne ha bisogno, a chi si muove male nella vita; a chi, in fondo, sta solo cercando se stesso negli occhi e nelle parole di chi gli sta accanto. Questa è, a mio avviso, una bella indulgenza, gentile appunto, buona da esercitare; religiosa anche, molto più di quella tramandata a noi tramite immagini di Santi portatori di miracoli.


Foto di Hengki Koentjoro

Pubblicato da Agata Amantia alle 05:44 Nessun commento:
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giovedì 26 giugno 2014

Filastrocca. 1990 - 2014

Il caldo arroventa le città, arroventa le campagne, arroventa le menti malate. L'altro ieri la pineta di Nicolosi, un piccolo centro in provincia di Catania, è stata devastata da un rogo. Le notizie pervenute parlano di più incendi, a macchia di leopardo, il che "farebbe" ipotizzare un intervento doloso; ma non si esclude, dicono sempre gli addetti ai lavori, che il disastroso evento sia da attribuire alle temperature record raggiunte e al forte vento di scirocco. Siamo alle solite, tristi, e ineluttabili novelle di ogni estate che si rispetti: caldo torrido, vento ancora più torrido ed ecco che gli incendi divampano, bruciando ettari su ettari di boschi, macchia mediterranea, campi. Insomma, verde. Il verde attira le fiamme, le corteggia, le incita spavaldo. Io sono scettica, che volete, sono cinica e poco propensa alle versioni di comodo. Sì, perché in fin dei conti è meglio pensare che sia la natura stessa a suicidarsi, invece che stare a scervellarsi per cercare altrove i colpevoli dei disastri ambientali. E ora si diranno le stesse cose di ogni anno, si piangeranno lacrime di coccodrillo sulle ceneri bollenti che prima erano alberi e cespugli; si dirà che ci sono pochi uomini e pochi mezzi di terra e di aria - i famosi canadair - rinviando la soluzione (sempre teorizzata, mai esperita) alla prossima stagione. Il ciclo eterno delle stagioni, in fondo naturale. Nulla cambia.

Filastrocca 1990
Vorrei il silenzio dei bimbi
per ascoltare la memoria
del giardino d’agosto.
Per raccontare la storia
dell’ippocastano ridente
e del noce ammalato
nell’ultimo verde vigneto
che attendono l’uomo soldato
di una stupida guerra
fatta di sassi e di rovi
di fango e di terra,
di grigio cemento armato.
Vorrei raccontarla
nel silenzio dei bimbi
la storia memoria
ma è lontana ormai
scomparso è il noce malato
e l’ippocastano ridente.
C’è solo l’uomo soldato
Nell’ultimo verde vigneto
Di grigio cemento, armato.


Pubblicato da Agata Amantia alle 06:02 Nessun commento:
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lunedì 23 giugno 2014

Offro una tisana calmante.

Straordinario come le persone ( non tutte si capisce, solo le più dotate di roboante voce) emettano tuoni e scaglino saette, scardinando i nostri padiglioni auricolari e incendiando i miserevoli neuroni vaganti, allorquando una considerazione, un concetto, non collimano con quello che si ritiene essere la verità dogmatica che, luce abbagliante, le guida. Facilmente sul web si inciampa in questa tipologia: è sufficiente un commento, anche educato, discorsivo e civile, per attirarsi le funeste ire del/della collerico di turno. E più stai ad argomentare, sempre utilizzando la pacata ragionevolezza, più le risposte si ergono come il busto di Farinata dall'arca;  e più i caratteri si ingrandiscono - come è puerile adoperare le lettere maiuscole - a significare l'insorgere dello sdegnoso  rifiuto. Povera me tapina,non riesco ad abituarmi a questo uso selvatico della parola; non riesco a comprendere la tracotante arroganza di chi pensa di sapere ciò che sei, quali siano le tue inclinazioni e le tue illuse speranze; non riesco a comprendere la supponenza sciocca.
A queste persone vorrei offrire la mano in segno di pace, che vadano in pace, che imparino a stare al mondo, anche in quello virtuale, nel rispetto delle altrui esperienze e azioni. Se poi proprio non ce la facessero, se l'impulso a urlare dovesse prendere il sopravvento, allora sarei lieta di porgere loro una tisana al tiglio o alla camomilla, rimedi naturali  ottimi per distendere i fragili equilibri nervosi. Con partecipazione e simpatia, tutte virtuali.

Mary Cassatt  Il tè delle cinque  1880
Pubblicato da Agata Amantia alle 10:15 Nessun commento:
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giovedì 19 giugno 2014

Ulisse mancato

E l'estate sta per scoppiare e con lei i miei pensieri. Che ripercorrono sentieri conosciuti e tralasciati; bianchi arenili sbranati dal sole e dalla folla; lidi rocciosi avvistati dal violetto mare greco, all'ora del tramonto.
Una barca a vela, un caicco;  e un carico di giovinezza e di risate. Per niente e per la luna che bacia le onde come un'amante impazzita; per le case bianche e azzurre arrampicate in gregge sui fianchi delle isole; per l'ouzo che ghiaccia i bicchieri e le gole; per la gentilezza degli dei che ti sospingono lievi a incontrarli.
Le isole greche. Un amore e un sogno svanito.

 Scherzo a Ulisse 1998
E navigando vai,
mio Ulisse mancato,
nel sogno incompiuto
di un viaggio infinito.
Sei lungi mio re
dall'approdo finale
nella sinuosa isola
cinto d’amor filiale.
E facile preda sei,
da altre sirene
ammaliato, confuso
mio Ulisse sfiancato.
Sullo scoglio sbattuto
che l’onda lambisce,
il tuo sogno svanisce
mio Ulisse perduto.



Pubblicato da Agata Amantia alle 06:16 Nessun commento:
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domenica 15 giugno 2014

Perché, perché il pallone piace tanto anche a me ...

Per circa un mese, se va bene, siamo tutti italiani e orgogliosi di esserlo. Ogni quattro anni, puntualmente, il miracolo avviene, un po' come quello della liquefazione del sangue di S. Gennaro a Napoli e perdonatemi l'accostamento tra il sacro e il più che profano, proficuo mondo del calcio.
Le città della penisola e delle isole, in questa notte magica, pullulavano di auto dai clacson impazziti, le bandiere tricolori sventolavano fiere, agitati vessilli dell'Amor Patrio; i volti dei nostri giovani (ma anche di molti signori attempati) esprimevano una gioia squisita, una soddisfazione gloriosa che prendeva alimento dalla Sacra Palla Rotolante, correttamente e impavidamente portata alla meta dai loro eroi, i paladini di questa strana società in cui viviamo, i calciatori, i piedi d'oro, ricchissime icone dinnanzi alle quali genuflettersi e sognare.
Questo accade in Italia nelle notti magiche del Campionato Mondiale, questo accade per un paio di settimane e poi si dimentica; riponendo bandiere e fischietti nei ripostigli si ritorna all'usato costume della maldicenza, della recriminazione, della non identificazione. Si torna a essere "individuo" ciascuno con il proprio pezzetto di terra da coltivare e il proprio pezzetto di cielo da scrutare.
Forse è così dappertutto, forse anche nei gelidi e civilissimi Paesi del Nord ci si sente così, io personalmente non lo credo, ma potrebbe essere. Certo è che mi fa specie, mi lascia perplessa che il sentirsi parte di una comunità dipenda dal rotolare sull'erba di un pallone. Curiosa razza, quella umana.


Carlo Carrà    Partita di calcio.
Pubblicato da Agata Amantia alle 06:54 Nessun commento:
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martedì 10 giugno 2014

Multiforme.

La vita muta e io con lei. Mi capita in questi giorni di sentirmi un rettile che cambia pelle; oppure un camaleonte che adegua la propria livrea all'ambiente circostante e ai pericoli in agguato. Faccio opera di autoconvincimento, mi dico che devo essere multiforme, pronta ad afferrare le novità e i ruoli diversi che la sorte ha in serbo per me. Penso a Proteo, mostruosa divinità del mito, e ci scherzo su, adeguandomi. Ma non è semplice, i sussurri del passato rovistano nel mio cuore e la memoria di perdute certezze si fa dolente. Mi consolo pensando che sia così per tutti, gli orologi hanno questo compito (odioso, temuto o al contrario atteso e amato) di cancellare e creare il tempo, matite e gomme sul foglio bianco che è la nostra esistenza. Tutta da scrivere, cancellare, riscrivere fino alla fine, fino all'ultimo giro di lancette.

Nel disordine.


Nel disordine del  mio corpo
si riflettono le sonore stanze
piene di oggetti volati via
dalle custodite scatole d'osso.
Nel disordine della mia mente
giacciono insonni incubi
di recenti dolori a me stretti.
Avvinghiate serpi al cuore
impediscono il battito svelto
frenano il passo alla luce ferma.
Canta la sua canzone infinita
la voce del tempo a me residuo,
mi dice che è scaduto il passato.
Ma io non voglio testa di rovi,
mani imbrattate, carni corrotte,
lingua di fiele, occhi di giada morti.
Nel disordine del mio corpo e mente,
mi volto indietro e lo fisso il tempo
il mio tempo, feroce soldato d'amore
armato, feroce bandito a me schiavo.


Frida Kahlo  Autoritratto

Pubblicato da Agata Amantia alle 10:53 Nessun commento:
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mercoledì 4 giugno 2014

Selvaggia e libera.

Mancavo da alcuni anni da quei luoghi talmente amati da conservarne nei sensi gli odori che evaporano dalle case e dalle campagne; le sfumature dei verdi incipriati di sabbia e quelle del mare allargato incontro ad altri destini.
Ho ritrovato le strette strade chiuse da sassi bianchi, sull'asfalto maltrattato la rena accumulata di fianco dalle mareggiate invernali costringeva alla prudenza. Ciuffi di erbe spinose affioravano come relitti sotto la caligine grigiastra. Il mare era al di là, udivo il canto delle sue sirene. Poi i centri abitati, paesoni e borghi, la barbarie dell'uomo invadeva ettari di terra, popolata prima da carrubi e ulivi. Sempre di più, l'operosa barbarie emergeva con faraonici edifici per il comfort dei viandanti di oggi. Restano isolate tracce di antica civiltà nei casolari e nelle piazze attorno alle chiese barocche; nelle facce di alcuni vecchi, quasi centenari forse, dagli occhi persi e la pelle riarsa nel lavoro dei campi e della pesca.
Il borgo sul mare non è più il mio, allora ho pensato. Le auto in colonna, marciavano a passo d'uomo, il frastuono che si levava dai motori accesi, dalle radio e dalle bocche occultava quello della risacca, che sempre accompagnava i miei piedi nelle passeggiate silenziose, scendendo verso il mare. Dai bar e dai negozi (quanti, troppi!) frotte di gente vociante, indistinta negli abiti e nei gesti, si riversavano sulla strada cercando l'estate che non c'era. Il cielo mi era amico, ho alzato lo sguardo e gli ho sorriso, era sempre lui, senza il suo cobalto esasperato, senza il suo sole meridionale: un cielo severo, che si muoveva tra le nuvole cariche d'acqua.
No, non era la mia spiaggia, non quel giorno. Non più, forse. La mia spiaggia è chiusa dentro di me, intatta negli anni che trascorrono, selvaggia e libera come la giovinezza.
Pubblicato da Agata Amantia alle 07:27 Nessun commento:
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