venerdì 14 marzo 2014

Donne affacciate alla finestra della vita.

Un tempo qualcuno mi disse "vorrei che tu fossi talmente piccola da poterti tenere sempre con me, da poterti chiudere dentro una tasca della mia giacca". Da allora sono trascorsi molti anni e io sono diventata molto ingombrante, Se mi si chiudesse in una tasca (ammesso che esista una di dimensioni così grandi) la farei a pezzettini, la ridurrei a brandelli e non con le unghie, ma con le parole. So di essere un martello pneumatico, una trivella petrolifera o più familiarmente un tritatutto con questa mia maniacale fissazione sulle parole, ma non posso farne a meno: le parole che vengono fuori dalle nostre bocche sono chiodi sparati che si conficcano nel cuore, nella mente, nelle viscere. Le parole non scorrono fluenti, no, le parole cadono addosso e scalfiscono, incidono solchi e aprono ferite che non si rimarginano; a volte sono lievi brezze che accarezzano, sono pleniluni di luce nella notte dell'anima. A volte. Ma le dimentichiamo, le riponiamo in angusti spazi e intanto guardiamo la lacerazione delle altre, le parole-chiodo, quelle che fanno sanguinare. Siamo in attesa, donne alla finestra della vita, in bilico nel dubbio che è peggiore del dolore stesso, in attesa delle parole nude, senza orpelli, senza ipocrisie. Senza menzogne. Siamo donne alla finestra della vita affacciate, sempre alla ricerca di quella parola che non verrà mai detta. Quella parola che, sola, può fugare dubbi e paure, quella parola che può salvare noi e gli altri. O forse no, forse vorremmo stare nascoste, nella tasca della giacca di chi, crediamo, possa amarci.


Edward Hopper - Eleven A.M.  1926

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