mercoledì 15 novembre 2017

L'inverno del nostro scontento.

Nel bel mazzo di notizie, di fatti, nel profluvio di parole spese a commento di questi fatti, non poca parte hanno le nuove pruderie puritane degli scandali legati al sesso. E, in tutta sincerità, non mi appassionano, non mi interessa citare nomi di presunti molestatori e di presunte vittime. Dovrebbe essere compito della magistratura appurare la verità e decidere le pene.
Fin qui, però, ci stanno pensando in molti a giudicare e a comminare castighi. I social - novello tribunale mondiale - se ne sono assunti, doverosamente e gioiosamente, il compito. Schierandosi - la par condicio non è da trascurare -  in pro e contro i molestatori (presunti) e in pro e contro le vittime (presunte).  Ed è venuto fuori di tutto, un'onda gigantesca che, ritirandosi dopo aver travolto tutti, lascerà una landa piatta e fangosa. Non sono qui per schierarmi, non ne so abbastanza e, ripeto, non mi interessa. Ciò che mi disturba, che mi lascia il sapore disgustoso del cibo irrancidito è la tetra pervicacia nel reiterarsi di antichi schemi e di stantie schermaglie: tra uomini e donne. 
Ho letto commenti -  ed è tragicomico che a postarli siano state persone di non scadenti qualità culturali -  nei quali le vittime vengono, tout court, definite "troie". E mi auguro per chi lo ha scritto che sia una provocazione più che un'intima percezione della donna.  Ma a parte queste esternazioni estremizzanti, quello che mi ha fatto sbarrare gli occhi e mi ha, dato un poderoso senso di impotenza, sono alcuni post e commenti da parte di alcune gentili rappresentanti del mio sesso. Un accennare leggero, appena appena intinto nell'ipocrisia di un femminismo che pesa come le catene del forzato Valjean; un credere e non credere alle "fanciulle" seducibili dal potere e tardivamente pentitesi; un sorrisetto colloso, da beghina controvoglia, che equivale a "ti conosco, carina, a me che donna sono, non la dai a bere!" Come se il solleticante desiderio di parlare fosse sulla punta della lingua, ma l'apparente maschera di solidarietà femminile lo vietasse.
In tutto questo sconfortante scenario di balordaggini, ci saranno delle vittime, resteranno per terra dei cadaveri. E saranno quelli di noi donne. Non ce ne accorgiamo nemmeno, ed è un timore fondato, dell'aria che tira. 
Allora ci adegueremo, saremo le donne che molti uomini sognano di avere accanto. Disponibili e pronte a seguirli sempre, attente e premurose dispensatrici di lauti pasti e di letti accoglienti.  Madri e mogli. Compagne devote e silenziose. Torneremo ai fornelli e ai fiori e lasceremo tutto il resto, lasceremo la bruttezza della vita all'uomo. Perché così, in fin dei conti è sempre stato e perché così, in fin dei conti, è più facile essere amate. 
Le altre - e ce ne sono, vivaddio, ancora - continueranno a non stare zitte, guarderanno il mondo con i loro occhi, cercheranno se stesse anche da sole, vedranno gli uomini con occhi schietti. Non accetteranno l'ipocrisia dell'amore immobile. Vorranno il dialogo, l'aprirsi a  un reciproco rispetto, la consonanza dei desideri e la loro legittimazione. Senza trascuratezza alcuna, senza togliere niente all'uomo e ai figli e a se stessa. Sarà duro il cammino, ma lo è sempre stato, duro. Ci siamo avvezze, c'è una lunga storia alle nostre spalle che le ha rese larghe e forti.
Ci aspetta, e mi rivolgo a quelle che, come me, vogliono sperare nell' Altrove e nell'Altro Uomo, una solitudine fitta, ci aspetta un lungo inverno.
Sarà l'inverno del nostro scontento. Ma si muterà in splendida estate e ne verremo finalmente fuori.


Vincent Van Gogh "Donne che zappano la terra innevata" 1890

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