martedì 18 aprile 2017

Metronomo e polvere.

Mi sono soffermata altre volte sull'importanza e sul peso delle parole. Sul potere che esse hanno di incidere nelle nostre esperienze di vita, nelle nostre giornate e nel nostro modo di affrontare gli eventi. Le parole sono l'espressione più evidente di uno stato d'animo,  più dei gesti che, sapientemente usati, riescono a dissimularlo. Personalmente le amo molto e cerco di dare loro la consistenza che meriterebbero. Citando, volutamente a sproposito, Marinetti che altro intendeva, non amo le "parole in libertà",  quelle come "voce dal sen fuggita" per capirci più chiaramente. Trovo che spesso non corrispondano alla verità, non sono il segnale di una libertà di pensiero, di una reazione immediata e quindi genuina, non manipolata da sentimenti sotterranei; al contrario, penso che siano il frutto di un approccio un poco ipocrita, farisaico, al dialogo, allo scambio di opinioni.
Non raramente mi è capitato di pronunciarle io queste parole svincolate da qualsivoglia freno, e sono diventate macigni. Ho ferito, ho fatto del male e ne ho provato e ne provo ancora rimorso. Quell'attimo imperfetto in cui sfuggono dalla gola, suoni che si raggrumano e si mutano in pietre. Difficilmente mi perdono, difficilmente scanso il senso di colpa.
Ma le parole che oggi mi ispirano  sono le parole di polvere. Sono quelle parole inconsistenti, superficiali, leggere e impalpabili che hanno il pregio-difetto di scivolare nello spazio, e sono silenziose pur emanando suoni, perché non provocano reazioni. Si depositano, proprio come incolore polvere, su di noi. Queste, per me, sono le parole della noia. Capaci di scandire con l'implacabile, tediosa ritmicità di un metronomo, il tempo di un incontro, di una conversazione. Riposanti, inclinano a una provvida sonnolenza, a un torpore benefico che astrae e allontana: fanno volare altrove, in qualche modo ci rendono liberi, liberi di non rispondere. Certo, è un peccato, le considero occasioni perdute, il dialogo soccombe avvolto nella loro polvere, perché solitamente appartengono a un monologo ininterrotto, a un racconto che non è racconto di sé, ma solo un lungo effluvio di sillabe atte a catturare l'attenzione e la curiosità di alcuni. Allora io volo via, sì di me resta sospeso, come il gatto di Alice nel cartoon di Disney, resta il sorriso. Mentre il metronomo ritmicamente oscilla nella polvere.

Giorgio de Chirico "Il sogno di Tobia" 1917

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