Ogni sparuta azione, ogni inezia che magari in altri tempi ci sarebbe apparsa come una mediocrità trascurabile, si illumina adesso di nuova luce, acquista anche uno speciale sapore che ci restituisce, seppure limitatamente e confinato nelle angustie dei nostri spazi e delle nostre giornate, un po' di quel gusto dolce, affettuoso, rifocillante, del vivere. Continuiamo a vivere, forse meglio. Ci accontentiamo di quello che ci è dato. E non è l'accontentarsi per mancanza di ambizioni e di stimoli, ma semplicemente il riconoscimento di avere in noi e accanto a noi, tutto quello che è necessario per andare avanti. Non abbiamo macerie da abbandonare dietro di noi, non abbiamo centinaia di corpi da seppellire, non abbiamo bambini da sfamare e consolare, senza poterlo fare. Non abbiamo terre straniere inaccoglienti dove dirigere i nostri passi. Siamo al riparo, per ora.
Facciamo i conti con le nostre esistenze e, anche se non ci è possibile scalzare il male, non del tutto, non è mai paragonabile a quell' altrove, a quelle vite che vite non sono più. Riconsideriamo, quello che abbiamo. Senza dimenticare, senza chiudere gli occhi, perché l' altrove c'è.
E anche le delusioni diventano fugaci meteore, spariscono, sono ininfluenti. Il silenzio di chi credevamo ci parlasse con le nostre stesse parole è un silenzio che non dà dolore. A quelle parole taciute ne subentrano altre, leali e coraggiose e ci rincuorano.Ci resta la malinconica certezza di esserci affidati al caso, all'incontro fortuito che niente offre, che niente restituisce.
La frugalità delle nostre riconquistate realtà, la fragilità dei nostri giorni, contengono in sé il seme buono della riconoscenza e della scoperta: di altra umanità, di altri simili a noi. Possiamo dire allora che abbiamo - e mi piace citare l'amato Gadda - la cognizione del dolore. Ma anche delle nostre vite.
Francis Bacon, Study for Head of Lucian Freud, 1967
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