giovedì 6 aprile 2017

Confido nel lume.

Oh! Sì! Stiamo a discutere di tante cose, parliamo di libri, di pittura, di cinema, di poesia. Ci affanniamo, come segugi ostinati, a cercare la Bellezza, tentiamo di stanarla, proprio come se fosse la lepre. C'è fame di bellezza, è vero; c'è necessità: è l'estremo appiglio che ci resta per non cadere nel gorgo dello sconforto e della paura. Perché siamo sospesi, e lo siamo tutti, al filo sottile delle nostre abitudini e delle nostre esistenze, delle nostre realtà circoscritte e disegnate da noi stessi. Le nostre quotidiane realtà, scandite da afflizioni e gioie, dall'uso che facciamo del tempo che ci è concesso; le nostre esistenze scandite dalle modalità sempre uguali di una routine che, pur non del tutto appagante i nostri desideri, non ci inquieta perché ci è nota. Sappiamo dove andiamo, crediamo, almeno, di conoscere il cammino.
Così parrebbe. Ma poi le grida di dolore dei bambini siriani, soffocati e avvelenati dalle bombe chimiche, ci agguantano, annientando ogni nostro sforzo di vivere . Non possiamo più fingere di non sentire, sono troppo acute e strazianti quelle grida, non possiamo più distogliere gli occhi. Quel gas maledetto piovuto sugli innocenti senza che si sappia il perché, senza che si conosca la mano vile che ne ha voluto l'uso mortale. La vergogna - non vorrei mai più ricorrere a questa parola - è il nostro gas tossico,  dell'occidente, della Russia, della Turchia,  di Assad, tutti a sottrarsi dalla colpa in un atroce gioco di "libera tutti" dall'infamia, come fossero bambini nel cortile di un enorme caseggiato.
E il nostro precario equilibrio oscilla, le nostre piccole certezze mostrano improvvisa  crepe.
Ieri sera,  in tv, ho sentito parlare di concreto rischio di guerra. Venti di guerra soffiano sul nostro mondo e a soffiarli è quell'omuncolo dal volto stolido e ridanciano del dittatore della Corea del Nord. Trump ha dato il suo ultimatum e gli altri dietro, ed è ovvio, non ci si può sottomettere al ricatto atomico di un pazzo. E allora? Un brivido che serpeggia lungo la schiena, un malessere antico. E la speranza, seppur fievole, che l'umanità torni a riaccendere il lume della Ragione. Se lo strazio delle grida degli innocenti non è arrivato perché sono solo echi lontani, la paura di una catastrofe planetaria potrebbe riaccendere quel lume.


Pieter Claesz "Natura morta con candela accesa" -  1627


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