giovedì 22 dicembre 2016

Il mercatino di Natale.

Anche quest'anno, come nel 2012, il mio Natale sarà incompiuto. Ci sarà un'assenza, ci sarà un vuoto. Lo colmeremo dopo, mi dico. In fondo, mi ripeto come una preghiera ripetuta nella novena davanti al Presepe, il Natale dura una notte e un giorno, che vuoi che sia? Altre notti e giorni ci saranno e non importa se non avranno le luminarie appese e i canti, saranno pieni di bellezza e d'amore, ugualmente.
Io li avrò, tu mia assenza, li avrai. Non sarà così per la ragazza di Berlino, non sarà più così per lei, né per i suoi affetti. Era al mercatino di Natale, La mente correva via, se ne andava giù, valicava i ghiacciai delle Alpi, scendeva fino a Sulmona. Gli occhi scivolavano tra i colori e le forme degli oggetti, le strenne da comprare, forse i suoi doni alla famiglia, agli amici. E penso a mia figlia, a tutte le volte che mi ha raccontato delle sue visite ai mercatini delle città in cui ha vissuto, come se non ve ne fossero di simili quaggiù ed è vero, quando si va via, quando si è soli, anche un mercatino delle pulci o delle strenne riscalda, smorza la nostalgia. Mi pare di vederla, la ragazza di Berlino, Fabrizia. Mi pare di vederla, come tante altre volte ho immaginato di guardare mia figlia, aggirarsi tra le bancarelle illuminate, nel rumore allegro dell'altra gente che sta attorno, imbacuccata perché al Nord il freddo è freddo vero. E poi scompare, si dilegua, diventa ombra. Fabrizia, travolta e straziata, senza più Berlino, senza Sulmona, senza la famiglia, senza gli amici. Senza il suo Natale e  i suoi regali, lasciati lì, per sempre,  al mercatino.



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