domenica 18 settembre 2016

Mater amorosa.

Mi è capitato di leggere molte note interessanti concernenti gli ultimi tragici accadimenti. Molte sono state compilate da donne. Mi è capitato anche di sperimentare, nelle ultime settimane - o più probabilmente ne ho presa consapevolezza, intima coscienza adesso, proprio per via degli stessi eventi - la cortese e velata compiacenza, a volte neanche tanto velata né tanto cortese, nei confronti delle mie opinioni, delle mie idee, del mio essere convintamente e finalmente libera d'ogni laccio e vincolo imposti dall'ipocrisia generale e generazionale.
C'è ancora ben salda, massicciamente scolpita nell'immaginario maschile, la figura compassionevole della mater amorosa. O se si preferisce la versione pagana della dea Vesta, antica benefattrice del focolare domestico. La donna che accudisce e consola, la donna che deve assolvere, come ruolo primario e indefettibile, al compito di badare al benessere fisico e spirituale dell'uomo.
Una visione arcaica che, seppur fortemente negata e, a parole, relegata a un mondo ottocentesco se non medievale, ancora alberga, insinuante, in molti e insospettabili uomini. L'archetipo femminino della madre (alcuni si spingono alla modernità della donna sorella-amica) rimane immutabile e incrollabile.
Ciò non toglie che la donna abbia le più svariate opportunità, oggi. Lavora e fa carriera, vive la propria vita sessuale come e meglio le aggrada, sceglie la maternità nel momento per lei più opportuno ( mi correggo, in teoria dovrebbe essere così, nella pratica sono cavoli amari).  Con il placet dell'uomo, spesso ammirato, spesso anche sbalordito. Come se non se l'aspettasse, come se tutte queste energie, questo vivere fossero una grazia concessa a noi donne e non una faticosa, annosa, complicata conquista. Ma è nelle emergenze, negli eventi drammatici, nei fatti sconvolgenti l'ordine stabilito che si nota l'irrigidimento, il dietrofront severo degli uomini. Ed è doloroso, è umiliante, più per loro però.
Non ammetto l'atteggiamento di sufficienza, non tollero l'amabilità ipocrita di un complimento, non sopporto la supponenza di un primato intellettuale.
Spesso, purtroppo, siamo noi donne a consegnarci a questa visione mistificatrice. Con il nostro silenzio, il nostro consenso deluso, con il nostro desiderio di essere amate, con il nostro opportunismo anche.
Un uomo ha scritto che gli uomini possono cambiare: se la donna sa, vuole , può cambiarli. Io dico che noi donne sapremmo, vorremmo e potremmo farlo. Ma prima dobbiamo sapere, volere, potere cambiare moi stesse. Senza più tacere, senza più timori.

Mary Cassatt: Louise Nursing Her Child, 1898.

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