domenica 4 settembre 2016

L'immortale.

Ipocrisia. Credo di essere arrivata in quel punto preciso della vita nel quale si fanno i conti con se stessi. E con il mondo e con gli altri. La prima riflessione che mi saltella dentro è che, inutile negarlo, siamo tutti ipocriti, chi più, chi meno. O, per lo meno, lo siamo stati di volta in volta, a seconda delle contingenze e pena l’esclusione sociale. Infatti  il timore dell’esclusione sociale, di una solitudine involontaria è uno dei motori ruggenti che danno lo sprint all’ipocrisia. Mostrare compiacimento, approvazione verso chi si ritiene abbia un qualsivoglia potere – intellettuale, culturale, politico, economico  - è l’atto di un conformismo ipocrita plateale, che investe e ha investito un po’ tutti.
C’è poi l’ipocrisia congenita e per quella non vi è soluzione: è un abito culturale ed educativo e proviene da anni, se non da secoli, di imposizioni autoritarie che determinano il carattere del futuro ipocrita. A questo segmento, ben impresso nella nostra società, appartengono i fornitori di chiacchiere,  i curiosi oltre misura – non intellettualmente – che adeguano volti di circostanza e pronunciano parole di circostanza a scopo estorsivo, quando nella realtà della loro quotidiana routine,  non gliene frega niente  delle altrui vicende e non provano alcun afflato, emotivo, sociologico, antropologico. Indossano le maschere,  per l’occasione,  quella della vergogna, del disagio, della pietà, del disprezzo, della misericordia anche!
E ancora, ed è molto diffuso, esiste il caso dell’ipocrisia nascosta a se stessi, perché il giudizio  che l’ipocrita, nascosto  a se stesso, avrebbe di sé,  potrebbe incrinare le certezze e le abitudini di una vita: per intenderci, l’ipocrisia nascosta a se stessi si disvela nella frase “io non sono un ipocrita”. Come avviene anche per la gelosia e l’invidia, diffidare sempre di chi dice con mite occhio  e dolce bocca “io non sono geloso/invidioso”. O almeno è consigliabile premunirsi di un corno rosso o di altro oggetto apotropaico.
Insomma, i greci hanno dato un nome alla veste di cui ci copriamo ed è una veste che non si lacera, è una veste che ci ricoprirà in eterno. Immortale.
Concludo questa mia riflessione invitando tutti, me per prima, a saper fare buono e moderato uso dell’ipocrisia, capisco benissimo quanto sia necessaria a volte. Ma senza eccessi. Anzi, se vi va, potete cominciare adesso con me, spedendomi  al diavolo.  Accoglierò l’invito, giuro,  senza ipocrisia.

Ah! Tanto per tenere desta la nostra memoria. Ecco la frase più schifosamente ipocrita che sia stata mai scritta:
“Il lavoro rende liberi”  - Campo di concentramento di Auschwitz.

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