giovedì 7 luglio 2016

Il nome delle cose.

Non avrei voluto scrivere nulla. Sono stanca di scrivere, è la verità. Sono stanchissima delle mie piccole, insignificanti riflessioni che non approdano a nient'altro se non a colmare un momentaneo senso di distacco dalla realtà che vivo ogni giorno. Ma è proprio perché avverto in maniera inquietante questo distacco sempre più profondo che voglio dire qualcosa.
Sull' efferatezza del crimine di Fermo, nel quale un branco di giovani ha ucciso un ragazzo nigeriano, Emmanuel, massacrandolo di botte e a colpi di spranga, dopo averne insultato la compagna, apostrofandola "scimmia negra", si sono spese e si spendono parole grevi di sdegno e di condanna. Tutti accomunati nello stesso coro di tragedia greca, tutti velati di nero. Ed è umano e giusto che sia così, un tale atto di selvaggia crudeltà non può indurre ad altro. Eppure nel coro ci sono note stonate, parole che sono indizi senza scampo di una verità sconcertante. Poco fa, per caso passando da una stanza all'altra dove c'era il televisore sintonizzato su una trasmissione, mi sono bloccata nell'udire una voce di donna (nessuno ha saputo dirmi chi fosse e me ne dispiaccio), che asseriva con ferma convinzione che "nel quadro di un episodio connotato dal razzismo, si è appurato che l'assassino e i complici appartengono al mondo della tifoseria calcistica e quindi non direttamente al fenomeno del razzismo". Non volevo credere alle mie orecchie, ho chiesto delucidazioni, ma niente, il televisore non aveva nessuno davanti. Lo sconcerto si è tramutato in collera, molto presto. E la collera nella riflessione tristissima che  non impareremo mai ad assumerci responsabilità e doveri. E questa è l'abbagliante fotografia della nostra società, civile e istituzionale. Questa è la farraginosa confusione nella quale arranchiamo, silenziosi e sgomenti, davanti alle nuove emergenze, davanti alle nuove prospettive di dover convivere con il nostro vicino che viene da lontano. Noi siamo quelli che ci proclamiamo non razzisti, siamo quelli accoglienti, ma zitti tolleriamo e, spesso, rivolgiamo le nostre scelte politiche, a chi è ancora più confuso di noi, a chi non getta la maschera, a chi sceglie di sedere in Europa con i nuovi fascisti  dei nuovi movimenti nazionalisti che stanno scuotendo e continueranno a scuotere l'Europa e non solo. Ci reputiamo non razzisti e voglio credere che, in larga parte, lo siamo davvero. Ma dobbiamo riprendere l'uso della parola e della ragione e chiedere limpidezza e certezza a coloro i quali abbiamo affidato il compito di rappresentarci.
Poi ci sono loro, i razzisti e credo che siano la minor parte di noi. E vanno isolati: E non vanno scambiati per "tifosi", come se questo rappresentasse il discrimine: chi umilia, picchia, ferisce, uccide un essere umano è un essere spregevole e chi umilia, picchia, ferisce, uccide un essere umano per il colore della pelle è un essere spregevole e razzista. Chiamiamo le cose con il loro nome, anche se ci è difficile farlo.

Edward Hopper  "Room in New York"  1940



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