Ci siamo. L’orologio ha
accelerato le lancette, scattano frenetiche sul quadrante e ci dicono che il
traguardo è vicino. Il Natale, come un esattore pignolo, si ripresenta alla
nostra porta, vuole incassare il dovuto. Vuole incassare il debito che abbiamo
accumulato lungo tutto l’anno e così ci presenta il conto, Una lunga lista di
omissioni, telefonate non fatte a chi, magari, se l’aspettava; una scappatina
da chi sapevamo essere solo; un abbraccio frettoloso a un altro, bisognoso d’un
gesto fraterno; e poi i pensieri negati per chi sta peggio di noi; e le parole
d’affetto, non dette, le nostre bocche cucite per pigrizia, per apatica
rassegnazione. E in cambio, il Natale, ci sottopone un cesto colmo di ricordi,
e non sempre è un dono indolore. Affiorano volti e suoni che credevamo svaniti,
che avevamo occultati sotto una spessa coperta di indifferenza o di salutare
oblio.
In questo caos d’emozioni, di
tempeste interiori (che vorremmo si quietassero, che vorremmo disperdere), si
profilano,, invincibili alfieri, suonatori di trombe, sventolatori di sacri
vessilli, le impellenze obbligate della Festa. E nonostante tutto, nonostante
che la Terra tremi in preda a sofferenze e atrocità, nonostante lo sgomento,
nonostante le innumerevoli immagini di delirio planetario, nonostante tutto
ciò, noi corriamo, corriamo verso la Festa. Tra alberi che non profumano di
resina, tra cumuli di carta e plastica, tra montagne di cibo che faticheremo a
smaltire, corriamo, formiche impazzite a riempire la tana. Ma la tana è casa,
l’ultimo approdo certo e lo stridore del mondo vi s’infrange contro. Non
penetra le stanze, non scardina le porte, non spezza la quiete di un giorno.
Resta sospeso al di fuori, per una notte e per un giorno, sconfitto dall’illusoria
bellezza di sentirsi al riparo.
Non ci saranno convulse resse
d’abbracci
né banchetti assiepati di volti
i volti amati sono in cornici
appese
al cuore dell’albero sprizzano luce
Non ci saranno canzoni e
campane
le renne sono nella stalla
ormai
con le zampe spezzate del
carillon
di voi figli bambini con i
piedi scalzi
e gli occhi d’innocui felini
sonnacchiosi,
incollati al vetro della porta, antro della
magia
tra i guizzanti ceppi nel
camino,
a scrutare le rosse ombre della
vigilia.
Non ci saranno giochi al tavolo
unto di dolci
né bellicose tenzoni e
caroselli saettanti
nel turbinare di augurali
promesse.
Sarà il Natale quieto della
nostra vita
sarà il Natale delle mani
aperte, aperte a noi
come colombe di pace sulla capanna
antica
sarà il Natale gentile delle
parole,
faville crepitanti a sciogliere
il silenzio.
Dal cielo cadranno forse le
stelle sopra noi.
Foto di Meyer Liebowitz N.Y. Times 1959
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