lunedì 21 dicembre 2015

Corriamo, corriamo!

Ci siamo. L’orologio ha accelerato le lancette, scattano frenetiche sul quadrante e ci dicono che il traguardo è vicino. Il Natale, come un esattore pignolo, si ripresenta alla nostra porta, vuole incassare il dovuto. Vuole incassare il debito che abbiamo accumulato lungo tutto l’anno e così ci presenta il conto, Una lunga lista di omissioni, telefonate non fatte a chi, magari, se l’aspettava; una scappatina da chi sapevamo essere solo; un abbraccio frettoloso a un altro, bisognoso d’un gesto fraterno; e poi i pensieri negati per chi sta peggio di noi; e le parole d’affetto, non dette, le nostre bocche cucite per pigrizia, per apatica rassegnazione. E in cambio, il Natale, ci sottopone un cesto colmo di ricordi, e non sempre è un dono indolore. Affiorano volti e suoni che credevamo svaniti, che avevamo occultati sotto una spessa coperta di indifferenza o di salutare oblio.
In questo caos d’emozioni, di tempeste interiori (che vorremmo si quietassero, che vorremmo disperdere), si profilano,, invincibili alfieri, suonatori di trombe, sventolatori di sacri vessilli, le impellenze obbligate della Festa. E nonostante tutto, nonostante che la Terra tremi in preda a sofferenze e atrocità, nonostante lo sgomento, nonostante le innumerevoli immagini di delirio planetario, nonostante tutto ciò, noi corriamo, corriamo verso la Festa. Tra alberi che non profumano di resina, tra cumuli di carta e plastica, tra montagne di cibo che faticheremo a smaltire, corriamo, formiche impazzite a riempire la tana. Ma la tana è casa, l’ultimo approdo certo e lo stridore del mondo vi s’infrange contro. Non penetra le stanze, non scardina le porte, non spezza la quiete di un giorno. Resta sospeso al di fuori, per una notte e per un giorno, sconfitto dall’illusoria bellezza di sentirsi al riparo.

Non ci saranno convulse resse d’abbracci
né banchetti assiepati di volti
i volti amati sono in cornici appese
al cuore dell’albero sprizzano  luce
Non ci saranno canzoni e campane
le renne sono nella stalla ormai
con le zampe spezzate del carillon
di voi figli bambini con i piedi scalzi
e gli occhi d’innocui felini sonnacchiosi,
 incollati al vetro della porta, antro della magia
tra i guizzanti ceppi nel camino,
a scrutare le rosse ombre della vigilia.
Non ci saranno giochi al tavolo unto di dolci
né bellicose tenzoni e caroselli saettanti
nel turbinare di augurali promesse.
Sarà il Natale quieto della nostra vita
sarà il Natale delle mani aperte, aperte a noi
come colombe di pace sulla capanna antica
sarà il Natale gentile delle parole,
faville crepitanti a sciogliere il silenzio.
Dal cielo cadranno forse le stelle sopra  noi.



Foto di Meyer Liebowitz  N.Y. Times 1959


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