Ancora Dicembre, mese degli
obblighi, mese di vecchi rituali che si perpetuano a dispetto delle mie
convinzioni. Ci sono stati molti mesi di dicembre nell’arco della mia vita e
molti di questi sono stati contrassegnati dalla gioia, dall’attesa della notte
più lunga e più santa, accompagnati dallo sfrigolare del cibo sui fornelli e
dal tepore profumato dei biscotti nel forno;e la vigilia arrivava sempre troppo
presto, non mi sentivo mai davvero pronta, c’era sempre qualcosa d’incompiuto
che mi metteva addosso un disagio di cui mi era ignota l’origine. Però eravamo tutti insieme, nel vociare
turbinoso, negli abbracci frettolosi e ansimanti, perché eravamo tutti un poco
stanchi di correre e di prepararci per l’appuntamento annuale; il mattino,
freddo di solito, che la seguiva, con il corredo di squilli e scalpiccii per
casa, avvoltolati ancora nelle vestaglie, bambini dagli occhi brillanti di
sonno e d’eccitazione e gli adulti assonnati e confusi, tra pile di carte argentate
e nastri rossi e oro.
Eravamo tanti, non mancavamo
mai di esserci tutti. Poi, lentamente come una tignola testarda che rode
l’ordito della lana, iniziammo a mancare. Ci furono le prime dolorose assenze,
le sedie vuote che non si sarebbero più riempite attorno al grande tavolo: e
dopo ci furono le nostre assenze. Volute, forse per noia, forse per stanchezza,
forse per inerzia.
Ancora Dicembre e si discute di
laicità o religiosità del Natale. Si litiga ferocemente - oddio il
fondamentalismo delle ideologie! - se il presepe e i canti tradizionali possano
turbare lo spirito religioso - oddio ancora! - dei bambini non cristiani
(cattolici) presenti nelle scuole del territorio nazionale. Come se i bambini
potessero inorridire di fronte a una capanna di cartapesta con la stella cometa
sopra e turarsi, altrettanto inorriditi, le orecchie per non dovere ascoltare
una canzoncina. I bambini sono bambini
dappertutto e, probabilmente, sarebbero curiosissimi di vedere un presepe e di
cantare in coro un ritornello; per loro, se non ci si mettono di mezzo gli
adulti sciocchi, non fa nessuna differenza, per loro è semplicemente una nuova
esperienza, qualcosa da imparare di questo folle, ma anche, divertente e differente mondo. Lasciamoli stare allora,
i bambini, soffrono già troppo per le nostre scelte dissennate, lasciamoli
scegliere, per una volta, quello che gli pare.
Che poi, tanto rumore per
nulla, perché c’è poco di religioso nel Natale del 2015. E anche in quelli
degli anni passati, da quando tutti insieme abbiamo optato per festeggiarlo,
questo Bambino, con lustrini e paté, con brindisi e deschi opulenti, con
montagne di regali sfolgoranti sotto alberi di plastica a loro volta
sfolgoranti di palle e di luci.
Se c’è uno spirito religioso ,
sacro, del Natale è, forse, quello
legato alla religiosità dei ricordi, degli altri Natali, quando eravamo tutti
un poco più innocenti. Il Presepe, l’abete, i canti, assumono, allora, un
significato prezioso, mentre li togliamo
dalle scatole dove hanno riposato per un anno: ogni addobbo, ogni pastore, ogni
stella, ci riporta indietro qualcosa, un momento di luce nel cuore, ci riporta
indietro qualcuno che se n’è andato. E ci ritroviamo, senza rendercene conto a canticchiare,
con un filo di voce, i canti di Natale, sempre quelli, ancora quelli. E magari
ci tremano le parole e ci si appanna la vista. Ma questo non si deve dire.
Ancora Dicembre e per me non ha
un gran significato, non sono in attesa del miracolo che muterà il male in
bene, non saremo tutti più buoni in quella notte. Saremo quelli di sempre,
saremo sempre meno attorno al grande tavolo, ognuno chiuso e perduto dietro
alla sua stella cometa, in un viaggio
ognuno di noi, attorno all’albero scintillante, uomini e donne, alla ricerca di
tutti quei Natali trascorsi che se ne stanno impilati nella nostra memoria,
tutti magici, tutti migliori.
Henri Matisse "Icarus" 1946
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