lunedì 10 agosto 2015

Furto d'agosto.

Chi scrive, sia che lo faccia di mestiere, sia che lo faccia per diletto, può essere ascritto alla categoria dei ladri. Già, se ci si sofferma a riflettere, è proprio il reato di furto quello che compie lo scrittore. Perché, se l'occasione fa l'uomo ( il passante, il viandante per caso) ladro, figuriamoci quello che provoca una qualsiasi situazione, un incontro, una passeggiata, un viaggio, nella mente distorta di chi ama o ambisce a scrivere e descrivere sentimenti, immagini, visionarie suggestioni, fantasmi della mente e del cuore. Ombre e corpi; luci e tenebre. Sempre, in un' alternanza spasmodica che non dà tregua, che martella nella pancia e nel cervello. Ci si vorrebbe alienare da questa tendenza, una specie di cleptomania, che sottrae alla vita il nettare necessario. Che poi risulti amarostico o troppo melenso, poco importa: è una necessità distorta, un'urgenza a cui non si sfugge.
Me ne stavo di fronte al mare, il mare d'agosto, piatto e verdognolo, non limpido, le meduse vi abbandonavano pezzi sfatti. L'afa mi cingeva con un'aureola rovente, la sabbia, spilli di fuoco. Tutt'intorno, bambini e ragazzi che si schizzavano, sciamando felici, in un incessante dentro-fuori dall'acqua. Qualche parola scambiata con amici coetanei. Il silenzio era assente, lo sciabordio delle onde non penetrava il rumore delle risate, non riusciva a diventare silenzio, quello monotono e rombante del mare che si frange sui piedi.
Nel pomeriggio il cielo s'incupì, l'orizzonte scomparve, fu tutto di piombo. I lampi scaricavano nel mare la loro elettricità, zigzag furiosi che facevano urlare di paura i più piccoli e a ogni tuono era uno sbarrare d'occhi. Giocavano però, rincuorati dalle nostre presenze. Poi la pioggia, scrosci, zampilli giù dalla tettoia e ci si bagnava, c'era quasi freddo. Venne il momento di restare seduti e si parlava. Ed eccola, allora, la compagna implacabile, la mia ossessione, la smania di ascoltare e intanto annotare. Gesti, parole, commenti. Quegli occhi chiari e grandi, così assetati d'affetto, così desiderosi di piacere e di compiacere; e l'uomo solo, perennemente in lotta con i suoi errori; e le donne, ah! noi donne, mancate all'appello dell'amore, inesorabili siamo, nel bene e nel male; foglie migranti dall'albero buono, spesso caschiamo nel macero informe, per pigrizia, per viltà.
Gli altri, uno nessuno centomila. Ricordo che si parlò di Pirandello e, per un attimo, mi parve che il sole riaffiorasse tra le nuvole.
Il mio furto si compiva, ascoltavo, osservavo, sezionavo, un ricercatore al microscopio. Ma, in fondo, non c'era niente che non conoscessi, niente da scoprire. Era semplicemente un tardo pomeriggio d'agosto, sotto un acquazzone estivo.

Filippo De Pisis  "Conchiglie"

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