martedì 25 agosto 2015

Cul de sac.

E' così, c'è poco da fare, la percezione che si ha, a fronte di accadimenti, è variabile. Proprio come il tempo. Temporalesco, perturbato, nuvoloso, variabile, sereno. Ognuno assume una posizione di personale critica; o sceglie l'acritica acquiescenza, senza scomporsi: o, ancora, appunta lo sguardo alla teatralità fenomenica, alla forma estetica. I fatti accadono, sembrano dire alcuni, con o senza la nostra approvazione o disapprovazione, accadono e continueranno ad accadere. Meglio stare ad assistere, seraficamente intangibili.
In un certo senso, questo è quanto è successo, qui in Italia, dopo che le immagini del funerale di Roma -inutile ricordarne i particolari, credo siano ben noti planetariamente- hanno fatto, appunto, il giro del mondo. Ora, non voglio soffermarmi sull'indignazione che in moltissimi ha scatenato (me compresa); non voglio stare a dibattere oltre sulle responsabilità politiche e istituzionali (che sono reali e gravissime); non voglio accendere i riflettori sulle peculiarità del fenomeno mafioso nella capitale del mio Paese; se ne discute già tanto e chi lo fa, ha certamente più qualifiche autorevoli di me. Ciò che mi turba è l'atteggiamento svicolante di alcuni. Esattamente. Svicolante, come chi si trova a dover affrontare una strada intasata dal traffico e si guarda intorno e al primo pertugio, alla prima stradella che incontra, la imbocca, sospirando di sollievo. Come a dire, io non m'intruppo, io uso la mia bella testolina sveglia e via! a tutto gas. Questi tipi, con le parabole particolarmente funzionanti, hanno capito che, per vivere oggi, sgomitando nella quotidiana ricerca di un ruolo qualsiasi nella società, devono, imparare ad accettare tutto. Anche l'inaccettabile, anche la volgarità, anche il ricatto di chi pensa di poter agire impunemente. E la cosa peggiore è che sono davvero convinti di non prestare il fianco a chi del crimine organizzato si nutre. Sono fiancheggiatori inconsapevoli, sono spettatori asettici. Alcuni dicono: "Lo Stato c'era, eh! se c'era a quel funerale!" E il loro disincanto è greve, i loro sospetti pesanti e duri come rocce. Ma per me, no, lo Stato non era lì. Non lo Stato che, secondo me, è Stato, di diritto, di libertà, di giustizia, di rettitudine. C'era l'assenza, il vuoto, il nulla perché a quello Stato che vorremmo in tanti, se ne sovrappone un altro, intricato, contorto e avvinghiato nelle spire dei compromessi, delle riluttanti scelte, del pusillanime gioco delle tre scimmiette. Che è il gioco che più è gradito alle mafie. E ci sono ancora quelli che si sono attaccati, come remore alla balena, all'aspetto formale (e tra questi, i roboanti ciarlatani del piccolo schermo in salsa di esperti mafiologi), incollandosi "alla tradizione" "alle usanze incallite" di certi ceti sociali o di certe etnie! Paillettes negli occhi, come suggerisce un'amica, ironicamente. E però un po' di sdegno lo provano, in verità, tutt'al più hanno brevi sussulti di collera nei confronti dei media, nazionali e internazionali, che partoriscono echi malevoli contro l'Italia, mettendone in luce il lato più oscuro (per me e per tantissimi, per fortuna), mettemdo alla berlina il sentimento patriottico! L'indignazione si trasferisce, lo zoom dell'obiettivo si fissa sulla stampa, colpevole di avere dato tanto e tale risalto a un fatto, tutto sommato, "folcloristico e kitsch". E non si rendono conto che, sempre inconsapevolmente, piano piano il loro modo di pensare, la loro passività, li renderà spugne che tutto assorbono e trattengono. O fogli di carta assorbente, un tempo usata nella scrittura a inchiostro, oggi usata nelle cucine per raccogliere il grasso che cola.
Svicolano, come ho detto, trovano la strada laterale e la imboccano, a tutto gas. Senza sapere che potrebbero entrare, furbescamente strombazzanti, in un vicolo cieco. In un cul de sac.

Roman Polanski   "Cul de sac"  1966

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