domenica 15 settembre 2024

I figli non lasciano scampo.


Guardo, strizzandomi tutta come  fossi solo occhi, la foto di due giovani, un uomo e una donna. Sono molto belli, i visi distesi. La foto trasmette una corrente di quiete e di attesa. Non si sono ancora addentrati nei percorsi del lavoro, forse il ragazzo si è laureato da poco. O forse non ancora. Lei frequenta l'università e le piace e lavora. Sì, è brava nel trovarsi quei lavoretti, promoter di qualche marca di sigarette - si fuma ancora, come se non si sapesse  nulla - o come cameriera nelle pizzerie del centro storico, lavoretti (sottopagati, allora come ora) tipici di chi vuole l'indipendenza, un minimo almeno.

Sono vicini, quasi abbracciati, è incontestabile il loro amore reciproco. Eppure litigano spesso e furiosamente, ma guai a interferire. guai a chi tentasse di metterli l'uno contro l'altra: ecco due tigri, eccoli pronti a sbranare chiunque osasse, anche solo il tentativo di renderli nemici, l'uno all' altra.

Sono belli e mi tolgono il fiato. Sono teneri e mi spezzano il cuore.

Sono i miei figli e, oggi, sono altri.

La luce e il contorno radiosamente rotondo del volto di lui sono scomparsi, si è  fatto tagliente, di pietra aguzza scolpito - eppure questa nuova magrezza spaventa solo me.

Gli occhi di lei si velano dietro solitudini perseguite con crudele ostinazione. Crudele con sé. Ma il piccolo adorabile naso è quello di una bambina indifesa.



Sono i miei figli che, oggi, non lasciano scampo.

Né a me, né a se stessi.



giovedì 5 settembre 2024

Antiriflesso.


 Sono tornata qui. Mi sono auto sfrattata da facebook. Troppo corrosivo, come acido muriatico. E anche perché mi è stato consigliato, forse è proprio così, sono troppo vecchia e la vita e il modo di agire degli altri non fanno per me. Ma Ho ancora da dire, mi preme sul cuore un peso di calcinacci - rimpianti? rimorsi? allucinazioni? - e poco alla volta, con occhi pesti e persi, mi metterò a stanarli.

Con l'antiriflesso delle mie nuove e inutili, o quasi, lenti. 
Questo termine è caduto, come si usa in un lessico dei miei tempi, scherzosamente serio, a fagiuolo.
Giacché l'antiriflesso aiuta a eliminare, parzialmente, quei vapori metallici, quei timbri striduli, quelle lancinanti lame che ci accecano quando fissiamo quella che, pensiamo, sia luce. Amica, generosa, comprensiva.
E mentre penetra negli occhi e da lì scende al cuore, corrode e strazia, iridi fisiche e iridi segretamente serbate.
A me è successo.
Oggi sono senza luce, ne ho poca e bella e santa e me la tengo stretta.
Con l'ausilio degli antiriflesso.
Grazie anche a due donne di dolcezza di bocca e di anima: una è Altrove; l'altra la fanciulla-ortottista.
Amiche vere, e con loro non avrò necessità di proteggermi.

E, chissà. Alla prossima.


mercoledì 6 settembre 2023

In una sera di settembrebre

Non mi interessa cercare di vedere

le immagini sono macchie su foto

antiche - ne ho tante in una scatola

accucciate da decenni una sull'altra -

Non mi graffiano le voci, quella che pigola

dell' imberbe uomo o quella artificiosa

dell'intervistato, recitano i due guitti

e recitano male perché vogliono 

convincere me e te e tutti che sono bravi.

E bravi sono. Manzonaniamente, m'invento 

il termine. Non ho niente da vedere, né 

da ascoltare e il dialetto di Partenope è

così stretto e biascicato e squagliato e

incagliato tra i denti che mi faccio sorda.

Così non faccio altro che scrivere quassù

sciocche riflessioni che tu non leggerai.

E chissà se le leggerà lui, srotolando i 

muscoli sul divano, in attesa del sonno.

Poi c'è il più piccolo e certamente s'è

addormentato già da un pezzo.

Tutto il resto, tutte le parole, dai canali

di un'informazione buffona, bugiarda,

bieca, becera, banale e tutte le b brutte

che ancora non conosco e sono vecchia per

tornare sui banchi e al dizionario.

Tutto il resto, dicevo, non è più attinente

alla mia vita. 

Oggi, distesa sul letto, quella bambina,

ferita senza scampo né pietà, si è  liberata.

Oggi è volata via e non tornerà più.



mercoledì 23 giugno 2021

Al gelsomino arabo che quest'estate fiorisce.

 




Non scrivo quasi  19 aprile 2021

 

 

Non scrivo quasi più niente

ho le mani intirizzite

stecchite dalla sfiducia

gli occhi li ho persi da tempo

e da un anno sono secchi

somigliano alle foglie

del rampicante indiano

macchiate delle muffe invernali.

Non scrivo più parole

che mi cantano in testa e

nella pancia danno pugni

Il cuore? No quello ha altre cose da fare,

non pompa versi storti

fai il tuo lavoro, gli dico,

vai avanti ancora un po'.

Non ho più parole.

Le voglio ascoltare dagli altri

mi rotolano nelle orecchie

si raggomitolano come fili di lana

messi da parte per lo scialle che scalda

si acciambellano come la gatta sulle mie gambe

e a volte fanno le fusa.

Ascolto le parole degli altri.

Molte hanno un rantolo buio

allora spalanco la finestra

ai suoni di piombo della città

perché fuggano fuori, fuori da me.

Si infrangano pure, le parole, sul selciato di lava,

si annocchino pure, le parole,  nei cassonetti

trasudanti quintali di plastica.

Inerpicate sui muri, sbiadiscano

impastandosi tra loro.

Non ho più parole, no.

Ho però cespugli in attesa

un bottone di rosa,

un nido di merli,

un geometrico cielo tra i tetti

a cui alzo lo sguardo

per incrociare quell'occhio divino.

Ho una gatta che sfoglia i fiori nel vaso di coccio.

E molti libri che qualcuno legge per me.

Tutto questo - che non ha bisogno di parole –

è la cornice che vi trattiene

mie infinite luci.



 

martedì 17 novembre 2020

Confronti

 


Confronti novembre 2020

I confronti non si adeguano, non appartengono
all’amore
perché pretendono una mancanza da una parte
o dall’altra
Incoraggiano l’amarezza delle labbra
la rigidità dei sorrisi
la fissità degli occhi traccia un filo d’acciaio
che si attorciglia.
Nei confronti si schierano gli amori
diventano soldati
armati alla pari ma uno vince sempre
 e l’altro è il soccombente

Io ti amo di più  lo abbiamo detto tutti

mentre il cielo incredulo
cadeva a pezzi sulle nostre teste.
Il confronto nell’amore c’è ed è lacerazione
di un altro tempo
che non ha limiti di tenerezze di carezze
anche di sofferenze
 
-le sofferenze uniscono più che le gioie-
 
Confrontare l’amore è pesarlo
con la bilancia a due piatti del bottegaio,
era d’ottone e marmo,
 s’affosserebbe un piatto e non dal chilo in più,
 
(perché mi viene in mente la libbra di carne?
 di un cuore?)
 
Peserebbero il passo indietro, il mettersi di canto,
le lacrime improvvise?
un film e un libro che ci siamo passati a voce? 
una pazzia, un dolore,
un sacrificio che senza chiedere si è imposto?


Frida Kahlo "Le due Frida" 1939
 
 
 

mercoledì 11 novembre 2020

Meglio tacere.

 


Torno qui dopo mesi. Lo dico a me stessa prima di tutto, lo dico a me con una sorta di stupore perché non pensavo di aver voglia di scrivere qui. Come se questo spazio fosse limitato da qualcosa o a qualcuno. E so invece che sono io a dargli robusti confini. Quelli della mia incapacità nella perseveranza, della mia inguaribile indolenza.

Torno qui per tacere, per scegliere il silenzio. Quel silenzio schiacciato, umiliato dalle parole fuori dai denti, scardinato come porte dopo il sisma, sconnesso come le menti dei vecchi allettati da troppo tempo. Cosa potrei e vorrei aggiungere al superfluo? 

In questi mesi di ruggine da scrostare, di paludi abbandonate alle zanzare da guadare, tutto è stato detto, tutto è stato affermato; e tutto negato. Nessuno, nessuno ha avuto o voluto il tempo della riflessione, si è alzato il tiro, si sono sciolti gli ormeggi, scaricando la zavorra del buongusto e della ponderatezza e via alle scorribande di giudizi e critiche e approvazioni ed entusiasmi. Ognuno ha parlato per sé e per gli altri, ma anche contro sé e contro gli altri. Se mai dovessi raccontare di  questi mesi, al netto della solitudine feroce, delle vittime inermi, della paura armata di medievale falce, degli affetti dispersi nelle chat e nelle videochiamate, ne racconterei le voci, contraddittorie e spesso, troppo spesso ipocrite. 

Non mi interessano né i negazionisti, né gli esperimenti muscolari tra scienziati e politici. Non mi interessa neanche più l'utilizzo scriteriato delle notizie da parte dei media: molto più che a una realtà oggettiva che si avvicinasse maggiormente alla verità dei fatti, si è preferito il megafono dello spettacolo, quasi una drammatizzazione teatrale da grandguignol, un sopperire triste e scadente alle ribalte vuote di teatri e cabaret. E non m'importa neanche di chi si professa adempiente, ligio alle regole e se ne fa vanto - l'individuo mediamente intelligente sa quando e come proteggersi e l'individuo mediamente inserito nella società sa quando e come comportarsi con gli altri. E quelli che non si proteggono e non proteggono gli altri, non sono né intelligenti né individui socialmente accettabili. Non provo alcuna curiosità per loro, per le asserzioni in antitesi tra loro, per l'ampollosità che ne trasuda, come se dovessimo arrenderci, tutti, a una escatologia nuova e sicura.  

Mi interessano il non detto, il sottaciuto, l'intravisto. Mi interessano e mi sconfortano in pari misura il velo squarciato a metà, il sipario accostato, il buco della serratura oltre il quale c'è il bisbigliare della coscienza.

Mi interessa l'umanità offesa. Mi interessa la resurrezione possibile.  E mi interessano le parole di nuda verità, senza glorificazioni, né cori, né emozioni. Quelle che dicono che una Democrazia non sarà mai una democrazia compiuta e "grande" fin quando non sarà in grado di assicurare la salute, a tutti i cittadini. Tutti.

Per il resto, preferisco il silenzio. Meglio tacere.  


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