sabato 13 gennaio 2018

Solo alla memoria.

Rileggevo stamattina una mia riflessione di alcuni anni fa in cui riflettevo, appunto, sui rapporti umani, in generale. Soffermandomi poi, più a lungo, su quelli, pericolosamente fragili, che ci legano a parenti e ad amici. Non era una riflessione leggera, no. C'era una traccia intensa di sofferenza, di malinconica consapevolezza. Evidentemente c'era un motivo di questa mia tristezza.
E ci torno spesso a queste riflessioni e non so neanche io perché, non del tutto. Di solito si accetta, alla fine si accetta che qualcosa si incrini in un rapporto d'affetto, anche d'amore. Si soffre, ma poi si accetta. Perché non si potrebbe vivere altrimenti, perché il peso dell'amor perduto o della bruciante delusione schiaccerebbe ogni residua volontà di riscattarsi da una prigionia non più dorata. 
Ci sono però disincanti, disillusioni che mortificano più di qualunque pena. E sono quelli delle memorie condivise, degli affetti così intrecciati alla carne e all'anima che pare impensabile, impossibile pensare (anche il semplice pensare!) a una separazione, alla lacerazione, allo strappo. Si può sentire il sordo schiocco dello schianto, si ascolta con angoscia lo stridere della lacerazione, Si avverte il taglio nei muscoli, si guarda con occhi umidi la ferita aperta. Perché la memoria condivisa, il filo che credevamo una treccia robusta di cavi d'acciaio, non dovrebbe mai spezzarsi, non dovrebbe mai essere interrotto. Anche quando l'apatia degli anni che scorrono annoiati, anche quando i nostri occhi si offuscano e non vedono chiaramente il dolore dell'altro, anche quando il nostro cuore si indurisce e invecchia più per una ruggine trascurata che per un'angina molesta; anche allora i ricordi spartiti in perfetta, immutabile armonia, dovrebbero restare il vincolo, il laccio che ci  trattiene saldi e uniti. La memoria dovrebbe salvarci dalla solitudine di una vecchiaia sorda e cieca.
Ma non sempre accade. Siamo di molle creta, siamo imperfetti vasi d'argilla tra vasi di ferro e ci lasciamo schiantare dai colpi avversi. E ci lasciamo manipolare, altre mani ci modellano come gli conviene perché è più comodo e più facile credere che qualcuno, modellandoci, in fondo si prende cura di noi, del nostro benessere. Alla nostra quieta esistenza, senza traumi, senza dolori non rinunciamo. Solo alla memoria rinunceremo.


Carlo Carrà "Vaso di coccio sul davanzale" 1929 ca.

Nessun commento:

Posta un commento

Lettori fissi