martedì 12 settembre 2017

Una normale normalità.

Tornare su queste pagine, dopo un tempo non di riflessione ma di lavoro fisico, mi fa uno strano effetto, è come rivedere un amico di cui si erano perdute le tracce. Sono mancata poco, un'estate e neanche tutta, una bollente estate di fiamme nei nostri boschi, di terra arida, di cieli ferocemente sgombri di nuvole. E molti fatti accadevano, nel torrido torpore delle vacanze, molti fatti che seguivo nei notiziari, sgomenta, arrabbiata, dolente. Il reiterarsi malvagio degli incendi dolosi e con essi la lancinante certezza che l'uomo vuole, distruggendo la natura, distruggere anche se stesso; l'uccisione del ragazzo in Catalogna, picchiato a morte davanti a un pubblico assente, inerte: la disumanità dell'atto è pari alla disumanità di chi non ha reagito, di chi non è intervenuto in soccorso del ragazzo. Poi, pochi giorni dopo, Barcellona. Un brivido gelido nelle vene, istanti di non coscienza, il terrore. Perché mia figlia vive in quella città e abita a pochi metri di distanza dal luogo del massacro. Il gelo nelle ossa, nel cervello e presto, presto, il sollievo che lo scioglie quando sento la sua voce. E dopo ancora, la vergogna per il mio sollievo. Perché molti altri genitori non lo hanno avuto.
E infine l'uragano al di là dell'oceano e il terremoto in Messico e i morti e le devastazioni.  E ancora le violenze sulle donne, quelle non mancano mai e i torrenti che, ai primi furiosi temporali, si portano via case e persone, anche questo evento si può dire, senz'ombra di cinismo, un must.
Una lunga estate calda, ma quello era un film. Una lunga estate calda di paura e di dolore. E a questi due sentimenti non dobbiamo abbandonarci, non possiamo dargliela la vittoria.
Ritorno sui social, ritorno a queste pagine.  Le apro, inizio a leggere e vengo travolta dallo tsunami dell'odio. Anche un'affezione grave ma non contagiosa come la malaria si muta in virus, un'epidemia perfetta per chi ne vuole trarre voti e vantaggi politici. I commenti ai post deliranti grondano di dubbi e di vecchie e nuove paure e la collera cresce, le parole sono il latrato isterico dei segugi dietro alla selvaggina. Mi ritraggo, sulle prime, sono tentata di fuggire, di allungare la mia latitanza. Epperò, una fiammella di speranza c'è. Il Paese si appresta alle elezioni, regionali quaggiù da me, e in seguito nazionali. E allora? Allora andrà tutto bene, o almeno sarà tutto come sempre, senza scossoni pericolosi, senza traumi destabilizzanti: verranno l'autunno e l'inverno - e ci si augurano piogge gentili - i politici riprenderanno, meglio continueranno, a litigare e a fregiarsi l'un con l'altro di graziosi epiteti, simpatici marpioni, e il popolo avrà un bel da fare a schierarsi, felicemente litigioso e incazzato come sempre. Come sempre, appunto. Alla fine è questo che conta: una normale normalità.
P.S. Ho dimenticato di citare l'ebete nordcoreano, quel grassoccio ragazzotto che ama giocare con missili e testate nucleari. Ma forse si è trattato di un lapsus voluto, è talmente incredibile, talmente impensabile che le potenze mondiali non gli diano una spuntatina a quella sua cresta di galletto scemo. Ci sarà un perché.


Renato Guttuso "Prato d'autunno"  1959 ?

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