lunedì 14 ottobre 2019

Vorrei parlarne con te.

In un soprassalto tra veglia e sogno. Nel gorgo delle parole e delle visioni che arrivano, schegge di insopportabile atrocità, dai luoghi del dolore e della violenza. E della vigliacca coscienza.



Vorrei parlarne con te, discuterne
mentre ti spingi a forza nella poltrona
con le gambe oscillanti come due ali
imprigionate, di civetta o di
pettirosso, o forse di chiù
-        lascio a te la scelta del volo -
I tuoi occhi si allagherebbero d’ombre,
di risposte incerte, di domande
a cui non saprei rispondere
se non con il dolore che provo.
Adesso in questi giorni senza pietà
mi chiederesti perché la guerra.
Lo chiederei io a te, mi sei adesso
anche madre oltre che figlia.
Mi porgeresti una mano,
la mano ancora da bambina
e la stringerei nel cavo della mia
quella carne che si ripiglia la carne
la riavvolge in sé in un unico nodo.
Resteremmo così nella sera che respira
piano là fuori, precipitata da chissà
quale cielo oltre i tetti calmi della città.
Non avremmo bisogno d’altro.

Ti ho sentita arrivare dal corridoio
e l’aria si saturava dei tuoi capelli
imbrigliati nel fermaglio di legno,
si colorava dei tuoi orecchini marini
si incendiava di frange e bracciali.
Come nelle foto catturavo l’Altrove.

Gustav Klimt  "Fregio di Beethoven"  1902




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