Guardo, strizzandomi tutta come fossi solo occhi, la foto di due giovani, un uomo e una donna. Sono molto belli, i visi distesi. La foto trasmette una corrente di quiete e di attesa. Non si sono ancora addentrati nei percorsi del lavoro, forse il ragazzo si è laureato da poco. O forse non ancora. Lei frequenta l'università e le piace e lavora. Sì, è brava nel trovarsi quei lavoretti, promoter di qualche marca di sigarette - si fuma ancora, come se non si sapesse nulla - o come cameriera nelle pizzerie del centro storico, lavoretti (sottopagati, allora come ora) tipici di chi vuole l'indipendenza, un minimo almeno.
Sono vicini, quasi abbracciati, è incontestabile il loro amore reciproco. Eppure litigano spesso e furiosamente, ma guai a interferire. guai a chi tentasse di metterli l'uno contro l'altra: ecco due tigri, eccoli pronti a sbranare chiunque osasse, anche solo il tentativo di renderli nemici, l'uno all' altra.
Sono belli e mi tolgono il fiato. Sono teneri e mi spezzano il cuore.
Sono i miei figli e, oggi, sono altri.
La luce e il contorno radiosamente rotondo del volto di lui sono scomparsi, si è fatto tagliente, di pietra aguzza scolpito - eppure questa nuova magrezza spaventa solo me.
Gli occhi di lei si velano dietro solitudini perseguite con crudele ostinazione. Crudele con sé. Ma il piccolo adorabile naso è quello di una bambina indifesa.
Sono i miei figli che, oggi, non lasciano scampo.
Né a me, né a se stessi.